mercoledì 15 gennaio 2014

COMPRENDERE, RICREARE, SPERIMENTARE: PIERO GOBETTI E LE RESPONSABILITA'  MORALI DELLA TRADUZIONE LETTERARIA - episodio II: LE TRADUZIONI

La prima apparve sul numero di febbraio: si tratta dell'Abisso di Leonid Andreev, autore contemporaneo molto amato da Gobetti poiché lo considerava il rappresentate ultimo del “classicismo russo”, che oramai non poteva far altro che riconoscere la liberalità della Rivoluzione e mettere da parte il proprio sentimentalismo e la propria incapacità di accettare la realtà. Per quanto opinabili possano essere le sue idee circa l'evoluzione del pensiero e della letteratura russa, espresse in quella che tuttora viene considerata da alcuni studiosi una delle più interessanti e originali opere di critica letteraria italiana, il Paradosso dello spirito russo, è estremamente interessante notare come Gobetti accompagnasse sempre il suo impegno traduttivo a una necessità culturale concreta: nel caso specifico di Andreev, questa necessità consisteva nel proporre ai lettori un autore ancora poco noto in Italia poiché, nonostante sin dai primi anni del Novecento fossero state pubblicate traduzioni di sue opere, non erano stati forniti al pubblico gli strumenti necessari a conoscerlo più approfonditamente e a penetrare più a fondo anche la realtà socio-politica di cui faceva parte e che gli aveva ispirato la composizione delle sue opere. Per ovviare a questa situazione, Gobetti si propose di individuare e dichiarare la superficialità e l'inesattezza della maggioranza di traduzioni e opere critiche riguardanti Andreev, come del resto numerosi altri autori russi conosciuti in Italia.
Torniamo ad esempio alla traduzione dell'Abisso: essa è anticipata da una breve introduzione in cui Gobetti affermava con orgoglio di aver inaugurato nella sua rivista uno spazio in cui pubblicare traduzioni finalmente dirette, integrali e, per quanto possibile, letterali e fedeli di opere di autori russi cui in Italia non era ancora stata resa giustizia. Ciò che lo aveva spinto a un simile impegno fu una forte richiesta proprio da parte del pubblico, nell'interesse del quale andava intrapresa ogni attività degna di essere definita culturale. Gobetti e Prospero proposero dunque ai loro lettori una traduzione la cui fedeltà e correttezza venne elogiata da molti esperti, tra cui Ettore Lo Gatto, che anche successivamente si sarebbe pronunciato a favore dell'impegno traduttivo dei due giovani, da lui considerati tra i primi esponenti di una nuova generazione di ottimi traduttori dal russo.
Altre grandi qualità di questa traduzione sono, inoltre, la presenza della firma dei traduttori, cosa per nulla scontata al tempo, accompagnata dalla dicitura «traduzione dal russo» per mettere ben in evidenza il lavoro svolto direttamente sul testo originale, e di note ai piedi del testo per spiegare le scelte traduttive impiegate, così da dare utili informazioni sull'opera e permettere ai lettori di comprenderne ogni minimo particolare. Vediamone un esempio: « [Sinuccia, ndr] Diminutivo (in russo Sinocka) da Sina, diminutivo alla sua volta di Sinaida.». Gobetti ha voluto in questo caso spiegare ai lettori i passaggi che lo avevano portato a tradurre con «Sinuccia» il nome russo impiegato dall'autore: mediante l'uso del suffisso diminutivo-vezzeggiativo “-uccia”, il giovane è riuscito, da un lato, a rispettare la volontà dell'autore, mantenendo la sfumatura affettiva del testo originale; dall'altro, anche a venire incontro alle esigenze dei lettori, che probabilmente, non conoscendo il russo, non avrebbero colto questo piccolo particolare se il nome fosse stato mantenuto in lingua originale. Nonostante questa scelta sia naturalizzante, prassi molto rara nelle altre traduzioni dei due giovani torinesi, essi dimostrarono, impiegandola, di aver rispettato l'impegno di fedeltà al testo preso all'inizio ma anche di aver considerato la fedeltà non come una forma di sottomissione pedissequa all'originale, ma piuttosto come sforzo di renderne tutti i motivi presenti.
Passiamo ora alla seconda traduzione di Andreev, la novella Pace, pubblicata nel maggio 1919: anch'essa è anticipata da un cappello introduttivo che, seppur breve, dovendosi adeguare al poco spazio offerto dalla rivista, racchiude interessanti informazioni circa il modo in cui Gobetti lavorava alle proprie traduzioni:

Dopo aver presentato ai lettori nostri una novella di potenza e calore passionale e lirico-descrittivo, offriamo la garbata ironia di questa «Pace». È un aspetto nuovo dell'anima di Leonida Andreiev, che le cose vede piuttosto nell'intensità della tragedia e dello sconforto, oppure, quando si erige a giudice con la ferocia del sarcasmo.
Ma una specie di umorismo, d'ironia particolare c'è in tutti i russi, […]. Ironia antiburocratica come nel Revisore di Gogol.
Chi vuol vedere di Andreiev le migliori traduzioni italiane veda negli Antichi e Moderni del Carabba: La vita dell'uomo, tra «gli scrittori stranieri»; Re, Leggi e Libertà. Le traduzioni sono del Campa. Gli altri traduttori italiani sono orribilmente infedeli falsari e si fanno buona compagnia coi francesi. Vallecchi ha due volumi di Andreiev in preparazione.

Per prima cosa, è fondamentale notare come Gobetti abbia voluto giustificare ai lettori la scelta di tradurre e pubblicare questa seconda opera: dopo aver letto la produzione di Andreev, operazione necessaria per conoscerne l'evoluzione stilistica e poterne tradurre ogni opera nel miglior modo possibile, ha ritenuto opportuno fornire ai lettori una novella che mostra un aspetto poco noto della sua scrittura, l'ironia. Secondo Gobetti, inoltre, questa scelta stava anche a dimostrare come Andreev si inserisse perfettamente all'interno della tradizione letteraria russa: appartiene a tutti i russi un'insofferenza velata di ironia nei confronti della burocrazia e delle formalità, motivo per cui Andreev potrebbe benissimo essere affiancato a un grande classico come Gogol'. Con tali affermazioni, Gobetti dimostrò di aver studiato con attenzione la produzione letteraria di diversi autori russi e di aver cercato di stabilire delle relazioni tra loro al fine di delinearne il percorso evolutivo. Nessun autore andrebbe infatti considerato come una monade, come un individuo a se stante senza alcuna relazione col resto del mondo e degli esseri umani; è inevitabile che il singolo si inserisca all'interno di una dimensione collettiva, ovvero l'intera tradizione letteraria del proprio paese, la quale a sua volta fa parte di una dimensione culturale universale, composta di culture letterarie diverse ma aperte alla reciproca accoglienza, grazie a una traduzione cosciente e consapevole delle proprie responsabilità.

Nella breve introduzione a «Pace», inoltre, non mancano notizie relative alle migliori traduzioni di Andreev già presenti sul mercato letterario, vagliate con attenzione in base alla serietà del lavoro svolto dai traduttori e dai curatori, e addirittura anticipazioni circa le traduzioni in preparazione. Ciò dimostra ancora una volta come Gobetti non svincolò mai le proprie riflessioni sulla traduzione e lo studio delle opere e degli autori da un contesto culturale concreto e costantemente aggiornato; era sempre questo il punto di partenza per svolgere una mediazione culturale completa e realmente utile al proprio scopo.
L'analisi dell'ultima traduzione proposta al pubblico di «Energie Nove», quella della novella andreeviana L'angioletto, ribadisce quanto affermato circa l'importanza di fornire ai lettori tutti gli strumenti per comprendere la singola opera e considerarla alla luce dell'evoluzione letteraria dell'autore. Questa novella giovanile, infatti, fu scelta da Gobetti poiché, a suo avviso, faceva già intravedere ciò che sarebbe stato l'Andreev dell'Abisso, chiudendo in questo modo il cerchio iniziato con la prima traduzione e dimostrando la coerenza delle scelte effettuate.
Se andiamo ad analizzarne le pagine, possiamo fare alcune osservazioni che dimostrano la flessibilità di Gobetti traduttore, sempre fedele ai propri principi di fedeltà e integralità della traduzione, ma anche consapevole che ogni testo avesse un'identità propria e delle esigenze cui la traduzione doveva far fronte concretamente. Ad esempio, in una nota viene spiegato il motivo che ha portato a tradurre la parola russa «statistichi» con l'italiano «Letterati»: dopo un'attenta ricerca, Gobetti decise di impiegare un termine che sapesse riportare nel testo tradotto la sfumatura di disprezzo espressa dalla parola in lingua originale. Se però ciò non fosse stato possibile, allora sarebbe stato opportuno, secondo Gobetti, mantenere la parola usata dall'autore e segnalarne in nota il significato e il contesto d'impiego nella lingua originale: è il caso, ad esempio, della parola «lejanca», lasciata in lingua originale poiché denota un oggetto che in Italia tuttora non esiste, ovvero una stufa usata in Russia dalle classi meno abbienti che, all'occorrenza, era anche impiegata per bagni a vapore e per ogni tipo di rimedi contro il freddo. Inoltre, nella nota viene anche segnalata la pronuncia della parola, informazione utile ai lettori per imparare una regola della lingua russa e accrescere così le proprie conoscenze.




Roby <^>