giovedì 19 dicembre 2013

COMPRENDERE,RICREARE,SPERIMENTARE:PIERO GOBETTI E LE RESPONSABILITÀ MORALI DELLA TRADUZIONE LETTERARIA

La traduzione di opere letterarie russe in Italia ha una storia tanto particolare quanto affascinante, anche agli occhi di chi non ha alcuna dimestichezza con la lingua e la storia letteraria di questo paese. Senza la pretesa di ricostruirla nel suo complesso, impresa che, per quanto interessante, esula dallo scopo di questo articolo, è opportuno farvi qualche accenno, al fine di comprendere le motivazioni e gli scopi che, tra la fine degli anni Dieci e la prima metà degli anni Venti del Novecento, guidarono le interessanti riflessioni sulla traduzione del giovanissimo torinese Piero Gobetti.
Tra il Diciannovesimo e i primi anni del Ventesimo secolo numerose riviste e case editrici si prodigarono, come altre volte era successo in Italia per opere in lingue straniere, nella pubblicazione di traduzioni di racconti, romanzi, drammi o, molto più spesso, semplici estratti delle opere dei più grandi autori della letteratura russa ottocentesca, oltre che, soprattutto dall'inizio del Novecento, di autori contemporanei. L'attenzione fu tale che nel 1869 la torinese «Rivista contemporanea» pubblicò, addirittura in anteprima mondiale, alcuni estratti del romanzo tolstojano Guerra e pace, ancora incompiuto allora e tradotto direttamente dal russo dalla cugina di Bakunin, Sof'ja Bezobrazova. Fu uno dei rari casi di traduzione condotta direttamente sul testo originale, probabilmente perché realizzata da una madrelingua. Non avvenne lo stesso, invece, in occasione della prima traduzione italiana di Anna Karenina (1877) sulla «Gazzetta di Torino» nel 1885: completamente ignaro del testo originale, il traduttore aveva infatti preso spunto da una precedente versione francese, anonima e piena di tagli e rivisitazioni culturali. Sulla scia di simili interventi, anche gli italiani si resero protagonisti di numerosi casi di riadattamento e amputazione di diverse parti dei testi: ne è un esempio la traduzione, anonima e probabilmente non diretta, di Memorie da una casa dei morti (1862) di Fëdor Dostoevskij, pubblicata da Treves tra il 1887 e il 1891 con un titolo che intendeva inserire l'opera nella tradizione letteraria italiana, attraverso una citazione dalla Gerusalemme Liberata di Tasso: Dal sepolcro dei vivi. Inoltre, ricordiamo che nel 1901 la stessa casa editrice diede alle stampe una traduzione de I fratelli Karamazov (1880) dopo aver espunto un intero episodio, che comparve poi come racconto autonomo presso un altro editore (F. Dostoevskij, I precoci, Sonzogno, Milano, 1914). Esattamente come era successo in Francia nel 1888, quando la traduzione del romanzo e quella dell'episodio espunto furono pubblicate quasi contemporaneamente da due case editrici diverse.
Simili interventi naturalizzanti furono ispirati, in molti casi, da un saggio realizzato nel 1886 dal diplomatico francese De Vogüé, intitolato Le roman russe. Conoscitore diretto della cultura e della lingua russa, grazie a un viaggio condotto nel 1877 in qualità di terzo segretario dell'ambasciata francese, De Vogüé fu a sua volta traduttore di romanzi russi (ricordiamo Delitto e castigo (1866), Treves, Milano, 1891, tradotto per la prima volta in lingua italiana) e, anche grazie al suo saggio, contribuì in maniera decisiva a far conoscere Turgenev, Tolstoj e Dostoevskij in Italia. Tuttavia, fu proprio a causa della sua mediazione che si diffuse in Italia il pregiudizio che la lingua e la letteratura russa, e in particolar modo quelle del “pensatore” Dostoevskij, fossero troppo prolisse e primitive, motivo per cui andavano addomesticate tramite la lingua francese, che rappresentava i canoni della cultura occidentale, cui ogni lingua e letteratura avrebbero dovuto adeguarsi per migliorare. Partendo da questo presupposto, senza alcuna cura per i testi originali, i letterati, i traduttori e gli editori italiani, in particolar modo le maggiori case editrici del tempo, Treves e Sonzogno, mosse dal desiderio di attirare una fascia cospicua di lettori appena affacciatisi al mondo della lettura e di vendere quante più copie possibili, continuarono a pubblicare traduzioni perlopiù “indirette” delle opere russe, amputandole di diverse parti, italianizzandole il più possibile e non curandosi, in molti casi, di segnalare né il nome del traduttore, per risparmiare sui diritti d'autore, né i vari interventi apportati al testo, spacciando per integrali e “dirette” le loro traduzioni.
Consapevole di questo modo di procedere, il giovane Gobetti, che sin dai tempi della Rivoluzione d'Ottobre aveva cominciato a interessarsi alla cultura e alla realtà politica russa, si propose di operare una vera e propria revisione dell'utilità e delle modalità del tradurre a partire dall'analisi di questi prodotti culturali, mettendone fortemente in discussione la qualità. Dal 1918 aveva infatti intrapreso lo studio della lingua russa sotto la guida della moglie di Alfredo Polledro, la profuga russa di origine polacca Rachele Gutman; essendo inoltre convinto della capacità e del dovere per la letteratura di partecipare e rappresentare la realtà politica, sociale e culturale di un paese, Gobetti studiò con passione le opere della letteratura russa in lingua originale, al fine di comprendere le ragioni storiche che avevano portato alla Rivoluzione bolscevica. Vista come un atto squisitamente liberale, poiché aveva causato la nascita di un nuovo stato dopo lo zarismo, Gobetti desiderava capirla e importarne almeno gli aspetti positivi in Italia, così da poter sperare di ottenere un domani lo stesso risultato e contribuire al rinnovamento politico, economico e culturale della nuova Italia.
Rivestendo il ruolo dell'intellettuale di responsabilità ormai trascurate, tra cui proprio quella di partecipare attivamente alla realtà del proprio tempo e contribuire a migliorarla, attraverso un'opera divulgativa con cui combattere ogni forma di individualismo estetizzante, di ignoranza e di superficialità, Gobetti si sentì chiamato in prima persona a questo compito di revisione morale dell'attività letteraria e culturale, che per lui riguardava anche e primariamente la traduzione, per quanto non fosse affatto considerata un'attività degna di attenzione dai più. Secondo l'esempio di Giuseppe Prezzolini, che sulla «Voce» fu tra i primi a mostrare sdegno nei confronti della superficialità con cui si traduceva dal russo, dal 1919 Gobetti iniziò quindi a pubblicare sulla sua prima rivista, «Energie Nove», articoli e traduzioni realizzate con la futura moglie Ada Prospero.







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