martedì 23 ottobre 2012

Nobel a Mo Yan, lo scrittore che "non parla"



Il premio Nobel per la letteratura 2012 è stato assegnato al cinese Mo Yan. L’autore 57enne è il secondo cinese della storia, il primo residente in Cina, ad aggiudicarsi il Nobel nella categoria Letteratura (prima di lui, nel 2000, era stato Gao Xingjian, cittadino francese residente a Parigi).

Guan Moye, questo il vero nome dello scrittore e sceneggiatore conosciuto universalmente con lo pseudonimo scelto da lui stesso, nasce il 17 febbraio del 1955 nella provincia contadina dello Shandong. Lascia la scuola a 11 anni per lavorare in campagna e poi in una fabbrica di cotone. Nel 1976 decide di arruolarsi nell’Esercito di Liberazione Popolare della Repubblica popolare cinese, che per molti giovani provenienti dalle campagne rappresentava a quei tempi l’unica speranza di condurre una vita dignitosa e di farsi un’istruzione. Negli anni dell’esercito infatti il giovane Mo Yan legge moltissima letteratura occidentale, soprattutto russa e francese, e comincia a scrivere i primi racconti e romanzi. Dopo vent’anni di servizio militare, nel 1997 avverte la necessità di esprimere un pensiero più autonomo rispetto ai rigidi vincoli imposti dall’esercito, e comincia a lavorare presso un giornale di Pechino.


All’inizio della sua carriera letteraria, Guan Moye decide di assumere il nome d’arte Mo Yan, che in cinese significa “senza parole” o “colui che non parla”. Il nomignolo risale all’infanzia dell’autore quando, in piena epoca maoista, una parola di troppo poteva cacciare nei guai una persona e un’intera famiglia. I genitori dello scrittore gli ripetevano quindi sempre di non proferire parola quando usciva di casa. Yan ha sempre ricordato questo soprannome come monito a parlare poco e a scrivere molto, esprimendo attraverso la scrittura quello che aveva da dire.

L’Accademia di Svezia che gli ha assegnato il premio definisce il suo stile un “realismo allucinatorio che mescola racconti popolari, storia e contemporaneità”. Le opere dello scrittore sono perlopiù romanzi storici che attraversano con i toni epici di vere e proprie saghe popolari interi decenni della storia cinese, raccontando la vita dei contadini nelle zone rurali del paese. Un enorme influsso sulla sua scrittura lo ha esercitato però anche tutto quel corpus di miti e tradizioni popolari che fanno parte del folklore contadino delle campagne cinesi, che ha permeato l’infanzia dell’autore con le sue suggestioni fantastiche.

La sua opera più famosa è senza dubbio “Sorgo rosso”, romanzo dal quale lo stesso autore ha ricavato la sceneggiatura per il film omonimo di Zhang Yimou, premiato con l’Orso d’Oro a Berlino nel 1988. Il romanzo ripercorre la storia di una famiglia di contadini nelle zone in cui è cresciuto lo scrittore, dall’occupazione giapponese degli anni ’30 attraverso la nascita della Repubblica popolare e fino alle soglie della rivoluzione culturale. Oltre a Sorgo rosso, Einaudi ha pubblicato in Italia quasi tutta l’opera di Mo Yan. Tra i titoli principali ricordiamo “Grande seno, fianchi larghi”, “Il supplizio del legno di sandalo” e “Le sei reincarnazioni di Ximen Nao”.
Nel 2013 è prevista l’uscita del suo ultimo libro “Le rane” che affronta con toni critici il tema della politica del figlio unico e del controllo delle nascite attuata dal governo di Pechino.


La scelta di premiare Mo Yan ha suscitato molte proteste e polemiche da parte di alcuni rappresentanti del movimento degli intellettuali cinesi dissidenti, che ritengono lo scrittore un uomo “vicino al Partito”, amico del governo di Pechino. Lo scrittore attualmente lavora presso il Ministero della cultura cinese, dove è a capo di un discusso istituto per la letteratura. In realtà Yan ha sempre dimostrato una grande autonomia di pensiero, identificandosi come un intellettuale indipendente rispetto alle linee guida del Partito. D’altronde come lui stesso ha affermato, la distinzione da fare non è tra intellettuali allineati e non allineati, o intellettuali interni al sistema e esterni al sistema, bensì tra gli scrittori che sono veri intellettuali e quelli che non lo sono. E un vero intellettuale esprime sempre chiaramente e senza paura il proprio punto di vista su ogni tema di rilevanza politica e sociale. Esattamente quello che fa Mo Yan in tutti i suoi romanzi.


/Fabio/




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