mercoledì 3 ottobre 2012

Ogni sostanza è come un mondo a parte- Parte III


    1. L'individualità

A partire da questa concezione di possibilità e incompossibilità, si può dedurre una definizione della sostanza individuale, tramite il principio dell'identità degli individui indiscernibili: nell'universo non esistono due individui perfettamente uguali, perché «ogni sostanza è come un mondo intero e come uno specchio di Dio, oppure di tutto l'universo, che ciascuna esprime a suo modo»1.

Prendiamo ad esempio Giulio Cesare: nella sua natura è già compreso e determinato una volta per tutte tutto ciò che gli è capitato, sta avvenendo e gli potrà accadere in ogni tempo; tutto ciò era perfettamente razionale e quindi era sicuro che avrebbe deciso di attraversare il Rubicone, perché è nell'estensione della nozione di soggetto di comprendere tutto2.

Ogni sostanza è quindi ricca e mostra la varietà del mondo dal suo punto di vista, uno degli infiniti punti di vista possibili, che si riuniscono in mente dei: solo Dio infatti ha una conoscenza intuitiva di tutto, secondo gli infiniti punti di vista e con un velocissimo “colpo d'occhio”; le sostanze individuali possono avere una conoscenza chiara e intuitiva solo sotto certi determinati aspetti e in questo senso esprimono la totalità e la varietà del mondo oscuramente, un punto di vista o una particolarità chiaramente.

L'individuo è l'attuazione di singolarità pre-individuali: la minima differenza fa si che le cose differiscano per il principio degli indiscernibili, che è quindi “il negativo” del principio di individuazione, ma che giunge per esclusione allo stesso risultato; tra individui c'è quindi una differenza interna e irriduttibile, basata sulla specificazione e sull'esaltazione del minimo particolare3: infatti è «necessario che ogni monade sia differente da ogni altra. Poiché nella natura non esistono due esseri che siano perfettamente uguali, e in cui non sia possibile scoprire una differenza interna»4. In più ogni sostanza individuale è riflesso confuso dell'intero universo: «a causa della moltitudine infinita delle sostanze semplici, vi sono come altrettanti universi diversi, i quali tuttavia non sono che le prospettive di un unico universo secondo il diverso punto di vista di ogni monade»5. La funzione delle sostanze è quella di esprimere Dio e il mondo: bisogna quindi che vi sia tra gli esseri possibili la persona di Pietro o Giovanni la cui idea contiene tutta la sequenza di grazie, eventi e circostanze che Dio ha scelto per esistere attualmente6.

Ciò ci porta ad un problema (barocco): in un'esasperazione di dettagli determinati, di giustificazione precisa dell'azione razionale di Dio, di concatenarsi stabilito di ragioni sufficienti, c'è ancora spazio per la libertà dell'azione individuale?

2.3 La libertà

La conclusione del precedente paragrafo porta ad interrogarsi sull'importante questione del libero arbitrio, problema che Leibniz affronta approfonditamente e riesce a risolvere in modo geniale, considerata la cornice del predeterminismo all'interno della quale sviluppa la sua filosofia. Libertà e predeterminazione sono infatti due aspetti molto difficili da conciliare e a maggior ragione se partiamo dalla base barocca del filosofo tedesco, in cui ogni più piccolo dettaglio non è accidentale.

Per poter trattare del “labirinto della libertà”, come è stato soprannominato dagli studiosi di Leibniz, è fondamentale porre in primo luogo la distinzione tra verità contingenti e verità necessarie: le verità contingenti sono virtualmente incluse nella nozione di sostanza individuale, come i cosiddetti futuri contingenti, che sono sicuri, in quanto Dio li prevede, ma non necessari, perché il loro contrario non implica contraddizione; le verità necessarie, come quelle della matematica, sono assolute perché il loro contrario è impossibile7.

Lo spazio per la libertà si crea nell'ambito delle verità contingenti: esse si fondano sul primo decreto libero di Dio, decreto libero ma razionale e sempre basato sulla maggior perfezione possibile come criterio di scelta. Dio ha posto inoltre un secondo decreto, sulla natura umana, per il quale l'uomo farà sempre ciò che gli apparirà meglio, in una sorta di intellettualismo etico di matrice socratiana8: in questo modo è preservata sia la libertà di Dio, sia quella dell'individuo pur mantenendosi un universo un cui vi è predeterminazione.

Dobbiamo quindi formulare una concezione di libero arbitrio completamente diversa da quella cattolica, per quanto riguarda la libertà umana, e diametralmente opposta a quella hobbesiana per ciò che concerne la libertà divina. Hobbes sosteneva una concezione assolutistica di Dio: Dio è infinitamente potente e sfrutta questa sua potenza facendo ciò che vuole e senza interessarsi del bene dell'individuo singolo perché buono è solo ciò che piace a Dio, per rispondere ad una vecchia domanda lanciata da Socrate nell'Eutifrone. Leibniz parla invece di un Dio razionale e giusto che sceglie secondo una ragion sufficiente, secondo il bene, che è quindi tale prima di essere scelto da Dio: per Leibniz libertà divina non significa che Dio possa fare arbitrariamente ciò che vuole! Ciò porterebbe unicamente al caos più completo e cozzerebbe con l'assoluta bontà e giustizia di Dio, gettando l'uomo nel caos più totale.

Per quanto riguarda la questione del libero arbitrio umano, dobbiamo sgomberare il campo dalla concezione cattolica, secondo la quale ogni individuo è padrone delle sue azioni e può scegliere se fare il bene o il male. Per Leibniz un concetto così forte di libertà, porta l'uomo ad essere imprevedibile agli occhi di Dio e quindi forma una contrapposizione con la nozione di onniscenza divina: se in un qualsiasi momento io sono libero di fare una qualsiasi cosa, Dio non può prevedere ciò che farò e sarà perciò all'oscuro delle mie scelte; quindi, riprendendo l'esempio di Giulio Cesare fatto in precedenza,9 Giulio Cesare è libero di varcare il Rubicone perché lui vuole varcare il Rubicone, indipendentemente dal fatto che è sicuro che lo varcherà perché Dio ha già predeterminato tutto: libertà per Leibniz vuole dire voler fare ciò che si fa e ciò accade sempre, perché in qualunque momento noi facciamo ciò che vogliamo. E' quindi insensato porsi la domanda sul “voler voler fare una cosa”, domanda su cui si basa la nozione cattolica di libero arbitrio, in quanto ciò genererebbe un regresso all'infinito.
 
>>FID
 
 
1G.W. Leibniz, Discorso..., cit., p. 269

2Cfr. Ivi, p. 273

3Cfr. G. Deleuze, op. cit., pp. 98-99

4G.W. Leibniz, Monadologia, cit., p.13

5Ivi, p. 29

6Cfr. G. W. Leibniz, Discorso..., cit., p. 295

7Cfr. Ivi, pp. 272-273

8Cfr. Ivi p. 274

9Cfr. paragrafo 2.2 L'individualità di questo elaborato

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