- L'individualità
A
partire da questa concezione di possibilità e incompossibilità, si
può dedurre una definizione della sostanza individuale, tramite il
principio
dell'identità degli individui indiscernibili:
nell'universo non esistono due individui perfettamente uguali, perché
«ogni
sostanza è come un mondo intero e come uno specchio di Dio, oppure
di tutto l'universo, che ciascuna esprime a suo modo»1.
Prendiamo
ad esempio Giulio Cesare: nella sua natura è già compreso e
determinato una volta per tutte tutto ciò che gli è capitato, sta
avvenendo e gli potrà accadere in ogni tempo; tutto ciò era
perfettamente razionale e quindi era sicuro che avrebbe deciso di
attraversare il Rubicone, perché è nell'estensione della nozione di
soggetto di comprendere tutto2.
Ogni
sostanza è quindi ricca e mostra la varietà del mondo dal suo punto
di vista, uno degli infiniti punti di vista possibili, che si
riuniscono in
mente dei: solo
Dio infatti ha una conoscenza intuitiva di tutto, secondo gli
infiniti punti di vista e con un velocissimo “colpo d'occhio”; le
sostanze individuali possono avere una conoscenza chiara e intuitiva
solo sotto certi determinati aspetti e in questo senso esprimono la
totalità e la varietà del mondo oscuramente, un punto di vista o
una particolarità chiaramente.
L'individuo
è l'attuazione di singolarità pre-individuali: la minima differenza
fa si che le cose differiscano per il principio degli indiscernibili,
che è quindi “il negativo” del principio di individuazione, ma
che giunge per esclusione allo stesso risultato; tra individui c'è
quindi una differenza interna e irriduttibile, basata sulla
specificazione e sull'esaltazione del minimo particolare3:
infatti è «necessario
che ogni monade sia differente da ogni altra. Poiché nella natura
non esistono due esseri che siano perfettamente uguali, e in cui non
sia possibile scoprire una differenza interna»4.
In più ogni sostanza individuale è riflesso confuso dell'intero
universo: «a
causa della moltitudine infinita delle sostanze semplici, vi sono
come altrettanti universi diversi, i quali tuttavia non sono che le
prospettive di un unico universo secondo il diverso punto di vista di
ogni monade»5.
La funzione delle sostanze è quella di esprimere Dio e il mondo:
bisogna quindi che vi sia tra gli esseri possibili la persona di
Pietro o Giovanni la cui idea contiene tutta la sequenza di grazie,
eventi e circostanze che Dio ha scelto per esistere attualmente6.
Ciò
ci porta ad un problema (barocco): in un'esasperazione di dettagli
determinati, di giustificazione precisa dell'azione razionale di Dio,
di concatenarsi stabilito di ragioni sufficienti, c'è ancora spazio
per la libertà dell'azione individuale?
2.3
La libertà
La
conclusione del precedente paragrafo porta ad interrogarsi
sull'importante questione del libero arbitrio, problema che Leibniz
affronta approfonditamente e riesce a risolvere in modo geniale,
considerata la cornice del predeterminismo all'interno della quale
sviluppa la sua filosofia. Libertà e predeterminazione sono infatti
due aspetti molto difficili da conciliare e a maggior ragione se
partiamo dalla base barocca del filosofo tedesco, in cui ogni più
piccolo dettaglio non è accidentale.
Per
poter trattare del “labirinto della libertà”, come è stato
soprannominato dagli studiosi di Leibniz, è fondamentale porre in
primo luogo la distinzione tra verità contingenti e verità
necessarie: le verità contingenti sono virtualmente incluse nella
nozione di sostanza individuale, come i cosiddetti futuri
contingenti, che sono sicuri, in quanto Dio li prevede, ma non
necessari, perché il loro contrario non implica contraddizione; le
verità necessarie, come quelle della matematica, sono assolute
perché il loro contrario è impossibile7.
Lo
spazio per la libertà si crea nell'ambito delle verità contingenti:
esse si fondano sul primo decreto libero di Dio, decreto libero ma
razionale e sempre basato sulla maggior perfezione possibile come
criterio di scelta. Dio ha posto inoltre un secondo decreto, sulla
natura umana, per il quale l'uomo farà sempre ciò che gli apparirà
meglio, in una sorta di intellettualismo
etico
di matrice socratiana8:
in questo modo è preservata sia la libertà di Dio, sia quella
dell'individuo pur mantenendosi un universo un cui vi è
predeterminazione.
Dobbiamo
quindi formulare una concezione di libero arbitrio completamente
diversa da quella cattolica, per quanto riguarda la libertà umana, e
diametralmente opposta a quella hobbesiana per ciò che concerne la
libertà divina. Hobbes sosteneva una concezione assolutistica di
Dio: Dio è infinitamente potente e sfrutta questa sua potenza
facendo ciò che vuole e senza interessarsi del bene dell'individuo
singolo perché buono è solo ciò che piace a Dio, per rispondere ad
una vecchia domanda lanciata da Socrate nell'Eutifrone.
Leibniz
parla invece di un Dio razionale e giusto che sceglie secondo una
ragion sufficiente, secondo il bene, che è quindi tale prima di
essere scelto da Dio: per Leibniz libertà divina non significa che
Dio possa fare arbitrariamente ciò che vuole! Ciò porterebbe
unicamente al caos più completo e cozzerebbe con l'assoluta bontà e
giustizia di Dio, gettando l'uomo nel caos più totale.
Per
quanto riguarda la questione del libero arbitrio umano, dobbiamo
sgomberare il campo dalla concezione cattolica, secondo la quale ogni
individuo è padrone delle sue azioni e può scegliere se fare il
bene o il male. Per Leibniz un concetto così forte di libertà,
porta l'uomo ad essere imprevedibile agli occhi di Dio e quindi forma
una contrapposizione con la nozione di onniscenza divina: se in un
qualsiasi momento io sono libero di fare una qualsiasi cosa, Dio non
può prevedere ciò che farò e sarà perciò all'oscuro delle mie
scelte; quindi, riprendendo l'esempio di Giulio Cesare fatto in
precedenza,9
Giulio Cesare è libero di varcare il Rubicone perché lui vuole
varcare
il Rubicone, indipendentemente dal fatto che è sicuro che lo
varcherà perché Dio ha già predeterminato tutto: libertà per
Leibniz vuole dire voler fare ciò che si fa e ciò accade sempre,
perché in qualunque momento noi facciamo ciò che vogliamo. E'
quindi insensato porsi la domanda sul “voler voler fare una cosa”,
domanda su cui si basa la nozione cattolica di libero arbitrio, in
quanto ciò genererebbe un regresso all'infinito.
>>FID
1G.W.
Leibniz, Discorso..., cit.,
p. 269
2Cfr.
Ivi, p. 273
3Cfr.
G. Deleuze, op. cit., pp.
98-99
4G.W.
Leibniz, Monadologia, cit.,
p.13
5Ivi,
p. 29
6Cfr.
G. W. Leibniz, Discorso..., cit.,
p. 295
7Cfr.
Ivi, pp. 272-273
8Cfr.
Ivi p. 274
9Cfr.
paragrafo 2.2 L'individualità
di questo elaborato
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