2. Elementi simbolici
Cogliere
le diverse simbologie espresse dal mito di Narciso significa nel
presente caso seguire due vie: anzitutto si cerca di riferirsi ai
nuclei tematici definiti dai due racconti, e ci si muoverà pertanto
tra simboli e informazioni; successivamente si vedranno elementi
simbolici nel senso più stretto, ovvero a prescindere dallo stretto
contenuto informativo, in modo da lasciare maggiore spazio alle
finestre e ai rimandi che i simboli stessi allacciano.
Lo
psicologo della Gestalt Arnheim definisce col termine microtema1
un elemento di una rappresentazione pittorica, posto solitamente nel
centro di essa, che ha la funzione di riassumere in sé la vicenda, i
contenuti e le forme di quanto avviene nel complesso della
composizione. È possibile adattare l’espressione microtema a
quanto Ovidio ci racconta della ninfa Eco. L’affascinante ninfa
sembra in qualche modo ripetere in piccolo le turbative mimetiche di
Narciso2,
e permette a Ovidio di affiancare il tema del riflesso visivo con
quello del riflesso acustico, importando un elemento almeno in parte
sinestesico. Ovviamente non si può pensare ad una coincidenza
assoluta tra i due termini posti in paragone, in quanto balza subito
all’occhio che Eco non si innamora della propria immagine bensì
del giovane cacciatore. Tuttavia la presenza della storia di Eco
permette a Ovidio di giocare sul tema del riflesso in più livelli
concentrici seppur non coincidenti.
Peraltro
la storia di Eco così come si declina nella Metamorfosi è
una novità, un pezzo di bravura dello stesso poeta3.
Eco era stata coinvolta in precedenti trame mitologiche in tresche
amorose che prevedevano la non corresponsione dell’amore.
L’episodio più significativo vede Eco rifiutare l’amore del dio
boschereccio Pan4,
in quanto Eco ama Satiro che però a sua volta è innamorato della
ninfa Lide. In questa diversa versione ricompaiono alcuni motivi che
Ovidio rielabora, quali quello del rifiuto di un corteggiamento e
della aurea regola dell’amare chi t’ama, in quanto in caso
contrario si incappa in sventure di cui Narciso può essere
testimone.
Peraltro
Ovidio racconta nei Fasti della ninfa Lara5,
la quale minaccia Giove di raccontare a Giunone delle sue tresche
amorose con le ninfe sue sorelle. Al che Giove risponde strappando la
lingua a Lara. Ancora una simmetria con il racconto delle Metamorfosi
dove però è Giunone che punisce Eco perché la distrae dal
controllare Giove. Si ha a che fare con la mutazione ed evoluzione di
un tema, aspetto tipico del mondo del simbolo. E si può anche aprire
la considerazione per cui Eco e Lara passano attraverso un prima e un
dopo, un sé per così dire integro e un sé mutilato, mostrando
ancora ulteriore assonanza con un Narciso volto tutto a conoscere e
non comprendere il rapporto tiranno con la fonte e la sua immagine.
Eco è
certamente mutilata dalla punizione di Giunone, ma dimostra di saper
ben sfruttare la situazione6.
Quando Narciso stanco di essere seguito le grida «Huc coecamus»,
«Incontriamoci qui», Eco prontamente ribatte «Coecamus»,
che in latino significa incontrarsi, e anche facciamo l’amore. O
ancora, allo sdegnoso Narciso che le intima «Possa io morire, prima
che ti sia largito il mio corpo» Eco ribatte: «ti sia largito il
mio corpo». Riecheggia il tema dell’amore e della relazione
all’altro che è nucleo decisivo del racconto. Elemento talmente
centrale che è da Narciso rifiutato: Narciso rifiuta di riconoscere
Eco, l’altro da sé, l’altro come oggetto d’amore che manca per
completarsi. Narciso non vuole essere toccato, con-fuso con Eco.
Narciso non vuol far la fine di Ermafrodito, sua perfetta antitesi,
che con-fonde in sé i corpi del maschio e della femmina
abbracciantesi7.
Narciso nelle acque dello Stige guarda se stesso, continua nella sua
opera più pazza: specchiare sé e non riconoscere altri che sé.
Quasi la negazione di ogni rimando, di ogni Eco, di ogni simbolismo.
Pellizer afferma che Eco è «espressione di una pura vocalità senza
corpo e senza immagine, la cui esistenza stessa è solo aurale, è
incapace di articolare un linguaggio autonomo, ma sa solo produrre un
riflesso acustico privo di senso (o esposto a un senso combinatorio
affidato al caso o all’interpretazione dell’enunciatario): non a
caso viene dunque evocata come simbolo di questa crisi della
comunicazione»8.
Il simbolo, che ha un suo carattere chiave nella comunicazione di
senso, diviene in Eco, simbolo dell’assenza di simbolo.
Altro
nucleo tematico e simbolico può rintracciarsi nella maledizione che
Conone dà in garanzia a Eros e Ovidio a Nemesi9.
Particolarmente interessante è il riferimento a Eros e a una
particolare storia mitica raccontante la sua nascita10.
Temisto, retore del IV d.C., racconta come la dea Themis abbia
ingiunto a Afrodite, la quale ha messo al mondo Eros, di partorire
anche il suo doppio, Anteros, in quanto senza di lui Eros avrebbe
potuto sì essere generato, non però crescere. I due fratelli hanno
identica natura e sono l’uno la causa dell’altro. Amore è
riferimento all’altro da sé, è sentirsi limitati, aver bisogno
di, sentire la mancanza di. Sembra di sentir riecheggiare il racconto
che l’Aristofane del Simposio dipinge di Androgino11,
dell’uomo tagliato a metà che ricerca la parte mancante. Il che
ancora può richiamare la tavoletta che spezzata va ricongiunta con
la metà (da cui deriva l’etimologia greca del symballein),
e che sarebbe diabolico (diaballein) considerare come
eternamente divisa e alienata da essa. (Come diabolica è la fine di
Narciso, intoccato contemplatore di sé nelle acque dello Stige).
Va da
sé che parlare d’amore porta con sé notevoli problematiche
soprattutto nel caso in cui l’amore non sia corrisposto. E così
nelle due versioni classiche del mito ritroviamo una maledizione,
eseguita da Eros o Nemesi12.
Maledizione che nulla ha a che fare con immoralità di un amore
omosessuale che problemi non creava nell’antichità greco-romana
(se si eccettua il problema di un giusto rapporto d’età tra amante
attivo e passivo, più giovane). La maledizione è legata piuttosto
all’incapacità di Narciso di vedere e riconoscere sé, di
staccarsi dall’ammirazione per il proprio corpo. La colpa che costa
la morte a Narciso è colpa contro la reciprocità amorosa. Una colpa
scontata mediante una morte che i diversi compilatori delle diverse
versioni declinano in modi diversi13.
Ovidio lascia che Narciso si consumi nel suo rifiuto di cibo e
riposo; altri parlano di annegamento, come Plotino, ma anche
Caravaggio il cui Narciso tende il braccio nell’abbracciare
la figura e sembra sul ciglio del precipizio; o ancora Narciso può
essere fatto morire mediante un colpo di spada autoinfertosi, in una
duplicazione della sua crudeltà contro l’Aminia di Conone. Questi
gli esempi più diffusi.
Si
passano ora in rassegna una serie di nuclei simbolici senza
un’aderenza così stretta alle fasi dei racconti come nei passi
precedenti.
Anzitutto
interpretazioni di stampo psicanalitico hanno contribuito a
evidenziare il carattere sessuale della vicenda. Così l’amor di sé
che ha in Narciso la sua incarnazione può esser letto come
«paradigma dell’autoerotismo» o come «etiologia della
masturbazione»14.
Interpretazioni che portano poi a porre l’accento anche
sull’omosessualità di Narciso. Tuttavia non si può non
sottolineare come l’ambito della sessualità assuma colorazioni
peccaminose in un’epoca cristiana cui anche la psicanalisi
appartiene. Il contesto greco in cui si svolge la storia di Narciso
appartiene a parecchi secoli prima della venuta di Cristo, e questo
va tenuto in debita considerazione. Applicare analisi di solo stampo
sessuale al racconto può (forse) essere fatto solo con ampie
precisazioni sui contesti cui ci si va a riferire, contesti che
riflettono mentalità, costumi, relazioni sociali, diversi.
Discorso
in parte diverso lo si può fare circa la nudità eroica15.
Un breve saggio di Gualerzi16
mette in evidenza le valenze sociali in Grecia dello stare nudi. In
particolare, la nudità tra maschi era ammessa solo se vi era parità
di condizione, ovvero se tutti erano nudi, come alle terme o in gare
sportive, in quanto in caso contrario colui che non portava i vestiti
era da considerarsi in una posizione subordinata a chi era vestito. E
ancora nudo un uomo non poteva certo esserlo nei confronti di una
donna vestita, in quanto in questo caso si dava potere a chi, come le
donne, nella società greca potere non avevano. Zanker, storico
dell’arte romana, mette in evidenza come la comparsa in epoca tardo
repubblicana di statue onorarie nude di stile ellenistico, era da
porre in netto contrasto con l’usanza segnata dal mos maiorum
romano che vedeva nell’uomo in divisa ufficiale l’unica
possibilità di ritratto, in quanto l’uomo nudo esibiva una
personalità più legata alla sua particolare persona che non alla
carica statale ricoperta17.
Come si vede da questi pochi accenni, intorno alla nudità tutto il
mondo antico ha messo in gioco riflessioni fondanti. Tuttavia è
complesso sostenere che sia proprio la nudità eroica ciò che mette
primariamente in mostra il mito di Narciso. Di certo gli studi di
Freud sul narcisismo e sulla necessità di esporre la propria
immagine hanno un ruolo decisivo18.
Ma da tenere conto è che Ovidio parla di un Narciso vestito, che
semmai si batte il petto nudo, ma solo quello.
Il
fuoco può in modo tangenziale essere considerato nella simbologia
del mito, in relazione al tema dell’amore che accende i fuochi
della passione. Ma per l’appunto tangenziale ne va considerata la
portata nel caso qui preso in esame19.
L’acqua
svolge un ruolo di primo piano20.
Narciso è figlio del fiume Cefiso e della ninfa delle fonti Lirìope,
la fonte è l’elemento chiave in cui Narciso vede svolgersi il suo
innamoramento. Il tutto apre alla considerazione della tematica dello
specchio, che però si tratterà a parte tra poco. Si segnala
l’accostamento che talvolta si è fatto tra il nome Narciso e il
nome greco della torpedine di mare, nàrke, animale marino che
provoca stordimento, e di qui il collegarsi alle etimologie di
narcotici, filtri e pozioni d’amore responsabili di amorose
passioni. Tuttavia in questo caso si tratta di assonanze che possono
colpire la fantasia, ma poco utili sono nella comprensione
complessiva del mito21.
Una
categoria che merita di essere citata è quella chiamata da
Vidal-Naquet «cacciatori neri»22,
i quali sono dei giovani che per divenire adulti devono superare una
serie di prove, cosa affatto scontata e che in effetti vede spesso il
cacciatore soccombere. Un celebre episodio a riguardo è quello di
Adone, il quale in una battuta di caccia viene colpito all’inguine
da una zanna di cinghiale e vede così frustrato il tentativo di
conquistare l’agognato corretto rapporto col genere femminile. Il
sangue sgorgato dalla ferita mortale di Adone si dice abbia visto
sorgere la prima rosa rossa. Assonanza non da poco con il fiore di
narciso nascente nel luogo di morte di Narciso. Simbolismo del fiore
che qui si è citato solo per due dei casi più celebri ma che
subisce una declinazione di storie e racconti davvero ragguardevole.
1
Si veda ad esempio il testo R. Arnheim, Il potere del centro,
Abscondita, Milano, 2011
2
M.Bettini, E.Pellizer, op. cit., pp.56-58.
3
Ivi, p. 58.
4
Ivi, p. 59.
5
Ivi, p. 60-1.
6
Ivi, p. 62-4.
7
R. Mugellesi, S. Landucci, Lo specchio infelice, in Artedossier
n.274, pp. 20-5, Giunti, Firenze, 2011.
8
M.Bettini, E.Pellizer, op. cit., p. 93.
9
Ivi, p. 64-6.
10
Ivi, p.144-6.
11
Platone, Simposio, pp. 139 sgg., BUR, Milano, 1997.
12
M.Bettini, E.Pellizer, op. cit., pp. 66-8.
13
Ivi, pp.73-6.
14
Ivi, pp.150-1.
15
Ivi, p.151.
16
S. Gualerzi, Il peccato negli occhi. Il tabù della nudità
femminile nel mondo classico, in Il corpo e lo sguardo.
Tredici studi sulla visualità e la bellezza del corpo nella cultura
antica, pp.67-96, a cura di V. Neri, Pàtron, Bologna, 2005.
17
P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, ad es. pp.
7-11, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.
18
Peraltro bisogna intendersi su cosa voglia dire narcisismo. Se con
esso si vuol semplicemente indicare la necessità di esibirsi agli
altri, francamente è difficile capire come ciò possa essere posto
in relazione al racconto ovidiano. Narciso non vuole mostrarsi agli
altri, né agli amanti, né tanto meno a Eco, che anzi sdegnosamente
scaccia quando ella tenta di abbracciarlo. Narciso vuol vedere se
stesso, e anche quando ha capito ciò, continua non di meno a
rimirare se stesso nello Stige e per l’eternità. Forse l’amore,
l’esibizione, la comunicazione con gli altri non sono le tematiche
fondanti che Narciso col suo mito mette in campo.
19
M.Bettini, E.Pellizer, op. cit., pp. 153-4.
20
Ivi, pp. 151-3.
21
Ivi, p.154.
Caro Andrea, grazie del richiamo al mio saggio, peraltro non troppo diffuso. Saverio Gualerzi
RispondiEliminaNB per il sito: il titolo dell'articolo comprende erroneamente la parola 'dellezza' invece che 'bellezza'