Il
presente lavoro nasce dall’esigenza di approfondire una tematica
con cui non sono, nel corso degli studi, entrato in rapporto diretto:
il mito di Narciso. Il primo scopo che si riflette nel testo è
quello di proporre una visione globale, inevitabilmente riassuntiva,
di alcune delle versioni e modificazioni che si sono venute a creare
nel corso dei secoli. Una particolare attenzione è dedicata alle
versioni più antiche conosciute, quelle di Conone e Ovidio; il
passaggio attraverso esse è decisivo per comprendere anzitutto di
cosa si parla e per cercare una base a partire dalla quale le
complesse riflessioni successive si sono sviluppate. Come
complemento, si è attraversato un breve saggio di Umberto Eco, al
fine di entrare in un vocabolario e in un modo di parlare che avesse
nelle percezioni, nel doppio, nello specchio, alcuni tra i punti
cardine. Tale parte introduttiva è stata necessaria per avere un
minimo di dimestichezza e di strumenti con cui approfondire la
tematica specifica della tesina: che cosa Narciso vede nell’acqua
della fonte, il rapporto con la superficie, tra sensi e immagini.
Questo lavoro è stato compiuto a partire dall’intersecarsi di
diverse opere letterarie prima e pittoriche poi, le quali non sono
state trattate da un punto di vista cronologico, storico-artistico o
letterario, ma con il solo scopo di comprendere che cosa i diversi
autori e pittori vedessero riflesso sulla superficie della fonte di
Narciso. L’aspetto di parzialità che ne deriva è inevitabile,
così come inevitabile è l’arbitrio nella scelta delle opere da
analizzare, considerando che il materiale cui attingere si dipana su
un lasso di tempo di duemila anni. Pertanto non la completezza
storica o teorica, quanto un primo confronto con una tematica di
portata enorme è ciò che nel testo può venire alla luce.
- Le versioni fondamentali del mito di Narciso: Conone e Ovidio
Anzitutto
sono da menzionare le circostanze di tempo e luogo in cui prende
forma il mito di Narciso. Esso è certamente uno dei miti che hanno
segnato la storia del pensiero, dell’arte e della cultura
occidentale1,
eppure le fonti letterarie a riguardo sono particolarmente recenti.
La più antica fonte greca di cui vi è conoscenza rimanda a Conone2,
scrittore erudito di dubbie origini ateniesi, vissuto in età
augustea a cavallo tra i secoli spartiti dalla nascita di Cristo. Le
narrazioni di Conone sono giunte riassunte insieme ad altri
scritti nelle compilazioni di Fozio di Costantinopoli3
del IX d.C. La fonte più celebre cui si rimanda per lo studio del
mito sono Le Metamorfosi di Ovidio4,
ultimate intorno all’8 a.C. Data l’incertezza sulla data di
stesura del testo di Conone non è possibile stabilire con parola
definitiva quale delle due versioni sia antecedente, in ogni caso
stupisce già questo primo dato cronologico, in quanto se è vero che
la storia di Narciso rimanda a tempi più arcaici, lo stesso non può
dirsi delle fonti mitografiche; si tratta di un dato non comune ad
altre casistiche comparabili.
Quanto
al luogo di svolgimento della vicenda, un indizio decisivo lo si ha
con la genealogia di Narciso5,
che rimanda quanto ai genitori al dio fluviale Cefiso e alla ninfa
delle acque Lirìope. Il fiume Cefiso è situato nella Beozia, e
nasce dal monte Parnaso, associato al culto di Apollo e delle nove
Muse; ciò ha un’assonanza, magari arbitraria e a posteriori
ma non per questo meno forte, con lo sviluppo che il mito di Narciso
ha in riferimento alle arti.
Conone
ambienta il suo racconto nella città di Tespie, dove nasce un
giovane di bellissimo aspetto, Narciso, il quale però rifiuta di
continuo i numerosi corteggiamenti che gli si rivolgono. Addirittura
Narciso manda in dono a uno dei suoi corteggiatori, Aminia, un spada,
affinché si trafigga e dimostri davvero il suo amore con tale
estrema prova. Aminia in effetti si trafigge, non prima però di aver
invocato il dio Eros per la vendetta. La punizione si palesa quando
Narciso si specchia in una fonte, si innamora di se stesso e capendo
l’assurdità di ciò si uccide disperato. La vicenda ha grande eco
a Tespie che da allora in avanti si distingue ancor di più quale
città votata al culto di Eros. Inoltre diviene credenza comune che
dal sangue versato di Narciso nacque il fiore omonimo. Questo in
sintesi il racconto di Conone, il quale peraltro dà ben pochi
elementi di identificazione geografica ad esempio della fonte in cui
specchia Narciso, e rende ancor meno semplice capire in quale epoca
si svolge la vicenda, dato che il culto di Eros a Tespie è solo
intensificato dalla vicenda raccontata e dunque affonda le radici in
un tempo antico indeterminato, così come di poco aiuto è il
riferimento all’amore greco pederotico, èros paidikòs, di
cui vi è traccia sicura fin dal VII a.C.6
Non è
però quella di Conone la versione del mito che più ha “fatto
scuola”. Questa capacità va riferita a Ovidio, il quale inserisce
nelle sue Metamorfosi un racconto di 172 versi, dove è molto
complesso capire il grado di rielaborazione e reinvenzione messo in
campo dal poeta rispetto alle fonti di cui disponeva e di cui si sa
ben poco. Alcuni commentatori di Virgilio, come Servio Onorato che
scrive nel IV d.C., alludono a possibili riferimenti del poeta di
Mantova ai fiori di narciso come da leggere in chiave mitica, in una
versione di cui peraltro si riesce a immaginare ben poco7.
Ma anche se così fosse, cosa affatto scontata, il mito di Narciso è
poco conosciuto nella Roma di Augusto. Si può immaginare che Augusto
nella sua opera di rinnovamento culturale abbia creato un clima per
cui erano presenti a Roma numerosi filologi e bibliotecari che hanno
preso in mano il racconto di Conone o di altre fonti greche e magari
ne hanno accennato a Ovidio il quale poi ha aggiunto una notevole
dose di rielaborazione personale. Ma siamo nel campo delle
congetture8.
Si
cerca ora di proporre un breve riassunto della vicenda che si ritrova
nelle Metamorfosi. Ovidio apre con un riferimento al celebre
indovino Tiresia che, interrogato dalla ninfa Lirìope che le chiede
un responso sulla durata della vita del bambino che ha partorito a
seguito della violenza di Cefiso, sentenzia: vivrà a lungo «se non
conoscerà se stesso»9.
La presenza di Tiresia è già una prima novità rispetto alla
versione di Conone, e verrà declinata in diversi modi nelle
rielaborazioni che il mito subirà. Ovidio salta a descrivere un
Narciso quindicenne che forte della sua bellezza e superbia rifiuta
ogni corteggiamento provenga esso da fanciulli o fanciulle10.
Narciso si distingue perché non si fa toccare da nessuno, elemento
che si dovrà tenere in considerazione nella analisi che seguirà.
Tra le fanciulle innamorate di Narciso un ruolo di primo piano è
svolto dalla ninfa Eco, il cui uso della voce viene troncato da
Giunone che la punisce in quanto con le sue chiacchiere ha tentato di
distrarre la regina degli dei dalle scappatelle di Giove. Così Eco
segue di soppiatto Narciso, che è turbato da una presenza che non
riesce bene a localizzare e che parla ripetendo le ultime parole
pronunciate da Narciso stesso. Eco tenta di abbracciare l’amato, il
quale sdegnato le grida che preferirebbe morire piuttosto che darsi a
lei (ancora, Narciso rifiuta ogni contatto, ogni intrusione altrui).
Eco così distrutta deperirà fino ad esistere solo come voce priva
di corpo. Narciso però continuando a rifiutare gli amanti si attira
la maledizione, come in Conone, di uno di essi, punizione portata
avanti questa volta da Nemesi. La punizione si materializza quando il
giovane guarda la propria immagine in uno specchio d’acqua durante
il riposo da una battuta di caccia, immagine di cui si innamora
inconsapevole del fatto che si tratta del proprio riflesso. Così
egli cerca di abbracciare la misteriosa creatura, di baciarla, di
abbrancarla, e sembra che anche l’immagine lo voglia tanto è vero
che risponde alle mosse compiute da Narciso! Ma ecco che Narciso
capisce, e comprende che colui che vede altri non è che se stesso.
Sembra avere quel che desidera e proprio per questo ne è
irrimediabilmente distante. Narciso sofferente comincia così a
battersi il petto nudo che percosso si arrossa. Non può più
mangiare né curarsi di sé, e si avvia alla morte per consunzione,
morte cui assiste anche Eco. Naiadi (ninfe d’acque dolci, sorelle
perciò di Narciso) e Driadi (ninfe delle querce) preparano una sorta
di rito funebre. Il corpo di Narciso scompare e compare un fiore
bianco. Notevole l’aggiunta di Ovidio: Narciso dannato agli inferi
continua a contemplare se stesso nelle acque dello Stige. Non c’è
redenzione per il peccatore, verrebbe da dire.
Si
è avuta la necessità di riassumere sinteticamente le due versioni
più antiche del mito in modo da avere un quadro di riferimento
all’interno del quale poter muovere l’analisi specifica sul tema
preso qui in esame, ovvero alcune varianti che le diverse versioni
del mito mostrano circa la visione che Narciso ha nella fonte. Prima
di giungere al punto è però necessario inquadrare anche alcune
possibili visioni simboliche generali che il racconto propone.
1
Tale riferimento al mondo occidentale si p soliti ritenerlo nel suo
senso più largo e indeterminato, trattando di miti che attraversano
millenni e luoghi geografici disparati.
2
M. Bettini, E. Pellizer, Il mito di Narciso. Immagini e racconti
dalla Grecia a oggi, p.46, Einaudi, Torino, 2003
3
Conone, Narrazioni XXIV [= Fozio, Biblioteca,
186.134b. 28-135°.4], riferimento da M.Bettini, E.Pellizer, op.
cit., p.181.
4
Ovidio, Metamorfosi III 339-510, riferimento da M.Bettini,
E.Pellizer, op. cit., p.182.
5
M.Bettini, E.Pellizer, op. cit., pp.46-48.
6
Ivi, pp.47-49.
7
Ivi, pp-79-82.
8
Ivi, pp. 82-85.
9
La vicenda si svolge in Aonia, regione montuosa della Beozia, e non
precisamente a Tespie come era per Conone.
10
Come in Conone non v’è problema nell’ammettere tanto amanti
maschi che femmine, la pratica era da considerare comune nel mondo
antico greco-romano.
Andrea Togni
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