Trattando
dello specchio si compie un passo spedito verso il tema della
presente tesina. Lo specchio è ambito di studio privilegiato per chi
si occupa di simbolismo, e il mito di Narciso in questo ha un ruolo
non da poco1.
Si dice che persino gli elefanti rifiutano di fare il bagno in acque
pulite perché hanno imparato la lezione di Narciso ed evitano così
saggiamente tentazioni che potrebbero portarli alla stessa fine. Lo
specchio ci fa vedere qualcuno che a noi è identico, ma al contempo
diverso, un qualcuno che è me stesso senza esserlo del tutto, una
sorta di presenza inquietante che, non si può mai sapere, può
sopravvivere anche a colui che di fronte allo specchio si pone.
Peraltro che lo specchio e il suo campo collegato metta in mostra
tale pericolo vitale lo si è visto anche sopra quando si accennava
al fatto che Eros non potesse svilupparsi e crescere senza che il suo
doppio, Anteros, fosse messo alla luce da Afrodite. Di più, lo
specchio mette in campo pesanti questioni ontologiche, legate alla
verità ed esistenza di ciò che l’immagine mostra e di ciò che è
originale autentico dell’immagine stessa. L’artista, supremo
creatore e giocatore con questioni di tal fatta, passa costantemente
sul ciglio del discrimine tra immagine e realtà, tra finzione e
verità. Pigmalione, grande scultore, era talmente capace nella sua
arte da innamorarsi perdutamente di una delle sue statue e da
richiedere e ottenere da Afrodite in persona di rendere di carne e
ossa la sua opera. Tutte queste tematiche il mito di Narciso è in
grado di svilupparle. Basta qui riportare una frase di Leon Battista
Alberti: «Che altro è dipingere, se non appunto abbracciare la
superficie di quella fonte?»2.
Come
si vede, la complessità e pluristratificazione della questione è di
portata notevole. Si cerca ora di fare un poco d’ordine grazie a un
breve saggio di Umberto Eco, Intorno e al di là dello specchio.
Tra le molte definizioni che dell’uomo si sono date, Eco
sceglie quella di animale catottrico3,
ovvero l’uomo è un animale che vive in rapporto profondo con
l’esperienza dello specchio. Senza prendere posizione definitiva, è
lanciata la suggestione per cui l’esperienza dello specchio è alla
base di una serie di altre esperienze, quali quella del doppio,
dell’indiscernibile, della percezione, della rappresentazione
iconica.
L’immagine
speculare è una riproduzione, e permette di fare i conti con la
dimensione semiotica, ovvero di significato e di comunicazione4.
Ciò che vedo allo specchio sono consapevole non trattarsi di realtà,
non bevo la bibita che in esso si riflette. Lo specchio permette
l’entrata nell’universo presemiotico in quanto l’immagine che
esso produce dà delle informazioni. Informare è l’azione dello
specchio. E se la suggestione di Eco è corretta, il comunicare, il
dare significato, il dare una forma visibile a un contenuto, sono
aspetti a partire dai quali leggere anche i fenomeni del doppio,
della rappresentazione artistica, del riconoscimento percettivo.
Ora, è
da osservare che lo specchio non fornisce informazioni circa gli
oggetti, quanto piuttosto è chi si pone davanti ad esso a leggere
nella sua immagine delle informazioni. Inoltre questa attività del
ricercare informazioni è un’attività per così dire mentale,
semiotica appunto, diretta da processi conoscitivi che si pongono di
fronte a oggetti al fine di conoscere, sia pure il conoscere ben più
ampio della conoscenza razionale e computazionale rigorosa. Trattare
delle immagini speculari come un qualcosa che fornisce informazioni
significa porsi da un punto di vista che riguarda la conoscenza, e
che, a meno di ritenere l’ambito conoscitivo come esaudiente lo
spettro di possibilità umane, è parziale.
L’ambito
semiotico è posto da Eco alla base anche dei processi percettivi5.
Il primo dei cinque paragrafi presenti nel saggio si apre spiegando
come «Noi riconosciamo le cose», e tale riconoscimento si basa sul
«fenomeno della costanza della percezione»6.
A sua volta il fenomeno della costanza percettiva è compatibile sia
con una teoria della conoscenza speculare, per cui si è passivi nel
percepire e conoscere, sia con una teoria costruttiva per cui la
mente si costruisce modelli interiori di quanto si percepisce. Eco in
ogni caso sembra protendere per questo secondo modo di intendere il
percepire. Grazie alla costanza della percezione è possibile
riconoscere l’identico, ciò che è indiscernibile, singolo, unico.
Il cane che ho visto ieri è lo stesso che ho visto oggi. Ma posso
anche riconoscere come identica una persona che non vedo da molti
anni, nonostante il suo volto possa facilmente presentarmi
caratteristiche diverse. Questo si deve ad un fatto
pratico-culturale, ovvero la tendenza umana è quella di tenere in
conto caratteristiche che nel riconoscimento facilitano l’operazione
stessa; ci sono dunque dei criteri che vengono stabiliti a livello
culturale, pratico, sociale, a seconda che essi siano funzionali agli
scopi prefissi, nel caso presente riconoscere una persona. Rilevante
è che nel riconoscere ciò che vedo oggi come identico a ciò che ho
visto ieri non si procede confrontando le due occorrenze specifiche
che sono avvenute nel percepire. Infatti quando un occorrenza si
presenta ai sensi, la mente costruisce un modello mentale
dell’oggetto percepito, e quando percepisco di nuovo l’oggetto,
ovvero quando l’occorrenza si ripropone, la si confronta con il
tipo che si è ottenuto mediante astrazione, col modello mentale.
Questo procedimento è simbolico nel senso triadico di Pierce:
Primità è l’avvenire di una sensazione bruta, Secondità è
presentarsi un oggetto estraneo di fronte, Terzità è il comprendere
come quell’oggetto là fuori è dello stesso genere, dello stesso
concetto di un’occorrenza che è già venuta ai sensi, quindi nella
Terzità avviene il paragonare.
Si è
presentato per quanto possibile nei dettagli questo passaggio del
testo di Eco perché è sintomatico di un modo di intendere la
percezione. Percepire un oggetto vorrebbe dire riconoscerlo,
conoscerlo. Il percepire è soggetto alla legge della costanza della
percezione, e la legalità è oggetto classico della conoscenza.
Addirittura quanto si vede viene da Eco immediatamente ricondotto
all’immagine mentale che si produce mentalmente mediante
astrazione. È evidente che Eco parla di processi di conoscenza, ma
non si vede perché l’operare dei sensi debba essere ridotto a
processi di conoscenza. Lo scopo è presentare una legalità che
riguarda l’uomo, ma appunto legalità è l’oggetto del conoscere,
non dei sensi. Io non vedo la legalità, ma ciò che i sensi vedono.
Che poi ci siano livelli di interazione con livelli conoscitivi,
questo è innegabile ma anche discorso del tutto diverso.
Significativo è che Eco in chiusura di paragrafo faccia riferimento
al procedimento simbolico di Pierce, perché mette in mostra che
simboleggiare è un modo del conoscere, nel caso presente del
riconoscere, ovvero simboleggiare significa istituire collegamenti,
nessi, legami, legalità, (in modo ovviamente diverso da quello
duramente scientifico). Una questione interessante riguarda
l’applicazione di tali osservazioni a Narciso. Narciso prima non si
riconosce, poi si riconosce. Ma nell’uno e nell’altro caso si
guarda. Di più, continua a guardarsi anche nella sua dannazione
eterna nello Stige. È il guardare, non il riconoscere, ciò che fa
Narciso. E vien da chiedersi se tutto l’aspetto cui sopra si è
accennato circa il conoscere, il simbolo, siano aspetti che
appartengano costitutivamente al guardare o non piuttosto
applicazioni dell’ambito semantico in un ambito che semantico non
deve essere per forza, quale quello delle sensazioni e del guardarsi.
Quanto
Eco mostra riferirsi al percepire va inteso in senso specifico come
modo in cui sensi e mente si relazionano. Il percepire allora va
tenuto distinto dal sentire, il quale si può distinguere dal primo
in quanto non crea legami, leggi, bensì sente, non si riferisce, e
se riferisce, riferisce a sé. Questo significa anche uscire nel
trattare il sentire dal considerarlo come modo immediato di conoscere
contrapposto al modo mediato del rappresentare in tutte le sue forme.
Nel momento in cui si concettualizza, non si sente, e anche
l’immediatezza è un concetto. Assolutamente corretto vedere nella
percezione un procedimento astrattivo, e questo lo mostra molto bene
uno psicologo della Gestalt come Rudolf Arnheim7.
Ma appunto il percepire astrae in virtù del suo essere un modo misto
di sentire e conoscere. Che questo possa essere detto anche del
sentire, significa sottintendere che tutti gli ambiti e i modi di
essere della persona sono considerati come aventi una legalità, che
tutti i modi siano modi di relazione. Il che può essere sostenuto,
ma bisogna saper guardare alle conseguenze, soprattutto se si osserva
che il ricercare leggi è ciò che fa la scienza, la quale peraltro
sente questo ambito come suo esclusivo.
Narciso
guarda lo specchio d’acqua e vede un’ immagine, che poi riconosce
essere la sua propria. Si cerca di capire ora cosa veda su quella
superficie, facendo attenzione a diverse versioni che duemila anni di
vita del mito hanno mostrato.
1
Ivi, pp. 156-62.
2
L. B. Alberti, De pictura, lib. II 26, citato in M.Bettini,
E.Pellizer, op. cit., p.162.
3
U. Eco, Intorno e al di là dello specchio, p. 25.
4
Ivi, p. 24.
5
Ivi, pp. 20-2.
6
Ivi, p.20.
7
Si veda su tutti R. Arnheim, Il pensiero visivo, Einaudi,
Torino, 2011.
Andrea Togni
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