domenica 22 luglio 2012

Narciso e la sua superficie- Parte III

3. Lo specchio

Trattando dello specchio si compie un passo spedito verso il tema della presente tesina. Lo specchio è ambito di studio privilegiato per chi si occupa di simbolismo, e il mito di Narciso in questo ha un ruolo non da poco1. Si dice che persino gli elefanti rifiutano di fare il bagno in acque pulite perché hanno imparato la lezione di Narciso ed evitano così saggiamente tentazioni che potrebbero portarli alla stessa fine. Lo specchio ci fa vedere qualcuno che a noi è identico, ma al contempo diverso, un qualcuno che è me stesso senza esserlo del tutto, una sorta di presenza inquietante che, non si può mai sapere, può sopravvivere anche a colui che di fronte allo specchio si pone. Peraltro che lo specchio e il suo campo collegato metta in mostra tale pericolo vitale lo si è visto anche sopra quando si accennava al fatto che Eros non potesse svilupparsi e crescere senza che il suo doppio, Anteros, fosse messo alla luce da Afrodite. Di più, lo specchio mette in campo pesanti questioni ontologiche, legate alla verità ed esistenza di ciò che l’immagine mostra e di ciò che è originale autentico dell’immagine stessa. L’artista, supremo creatore e giocatore con questioni di tal fatta, passa costantemente sul ciglio del discrimine tra immagine e realtà, tra finzione e verità. Pigmalione, grande scultore, era talmente capace nella sua arte da innamorarsi perdutamente di una delle sue statue e da richiedere e ottenere da Afrodite in persona di rendere di carne e ossa la sua opera. Tutte queste tematiche il mito di Narciso è in grado di svilupparle. Basta qui riportare una frase di Leon Battista Alberti: «Che altro è dipingere, se non appunto abbracciare la superficie di quella fonte?»2.

Come si vede, la complessità e pluristratificazione della questione è di portata notevole. Si cerca ora di fare un poco d’ordine grazie a un breve saggio di Umberto Eco, Intorno e al di là dello specchio. Tra le molte definizioni che dell’uomo si sono date, Eco sceglie quella di animale catottrico3, ovvero l’uomo è un animale che vive in rapporto profondo con l’esperienza dello specchio. Senza prendere posizione definitiva, è lanciata la suggestione per cui l’esperienza dello specchio è alla base di una serie di altre esperienze, quali quella del doppio, dell’indiscernibile, della percezione, della rappresentazione iconica.

L’immagine speculare è una riproduzione, e permette di fare i conti con la dimensione semiotica, ovvero di significato e di comunicazione4. Ciò che vedo allo specchio sono consapevole non trattarsi di realtà, non bevo la bibita che in esso si riflette. Lo specchio permette l’entrata nell’universo presemiotico in quanto l’immagine che esso produce dà delle informazioni. Informare è l’azione dello specchio. E se la suggestione di Eco è corretta, il comunicare, il dare significato, il dare una forma visibile a un contenuto, sono aspetti a partire dai quali leggere anche i fenomeni del doppio, della rappresentazione artistica, del riconoscimento percettivo.

Ora, è da osservare che lo specchio non fornisce informazioni circa gli oggetti, quanto piuttosto è chi si pone davanti ad esso a leggere nella sua immagine delle informazioni. Inoltre questa attività del ricercare informazioni è un’attività per così dire mentale, semiotica appunto, diretta da processi conoscitivi che si pongono di fronte a oggetti al fine di conoscere, sia pure il conoscere ben più ampio della conoscenza razionale e computazionale rigorosa. Trattare delle immagini speculari come un qualcosa che fornisce informazioni significa porsi da un punto di vista che riguarda la conoscenza, e che, a meno di ritenere l’ambito conoscitivo come esaudiente lo spettro di possibilità umane, è parziale.

L’ambito semiotico è posto da Eco alla base anche dei processi percettivi5. Il primo dei cinque paragrafi presenti nel saggio si apre spiegando come «Noi riconosciamo le cose», e tale riconoscimento si basa sul «fenomeno della costanza della percezione»6. A sua volta il fenomeno della costanza percettiva è compatibile sia con una teoria della conoscenza speculare, per cui si è passivi nel percepire e conoscere, sia con una teoria costruttiva per cui la mente si costruisce modelli interiori di quanto si percepisce. Eco in ogni caso sembra protendere per questo secondo modo di intendere il percepire. Grazie alla costanza della percezione è possibile riconoscere l’identico, ciò che è indiscernibile, singolo, unico. Il cane che ho visto ieri è lo stesso che ho visto oggi. Ma posso anche riconoscere come identica una persona che non vedo da molti anni, nonostante il suo volto possa facilmente presentarmi caratteristiche diverse. Questo si deve ad un fatto pratico-culturale, ovvero la tendenza umana è quella di tenere in conto caratteristiche che nel riconoscimento facilitano l’operazione stessa; ci sono dunque dei criteri che vengono stabiliti a livello culturale, pratico, sociale, a seconda che essi siano funzionali agli scopi prefissi, nel caso presente riconoscere una persona. Rilevante è che nel riconoscere ciò che vedo oggi come identico a ciò che ho visto ieri non si procede confrontando le due occorrenze specifiche che sono avvenute nel percepire. Infatti quando un occorrenza si presenta ai sensi, la mente costruisce un modello mentale dell’oggetto percepito, e quando percepisco di nuovo l’oggetto, ovvero quando l’occorrenza si ripropone, la si confronta con il tipo che si è ottenuto mediante astrazione, col modello mentale. Questo procedimento è simbolico nel senso triadico di Pierce: Primità è l’avvenire di una sensazione bruta, Secondità è presentarsi un oggetto estraneo di fronte, Terzità è il comprendere come quell’oggetto là fuori è dello stesso genere, dello stesso concetto di un’occorrenza che è già venuta ai sensi, quindi nella Terzità avviene il paragonare.

Si è presentato per quanto possibile nei dettagli questo passaggio del testo di Eco perché è sintomatico di un modo di intendere la percezione. Percepire un oggetto vorrebbe dire riconoscerlo, conoscerlo. Il percepire è soggetto alla legge della costanza della percezione, e la legalità è oggetto classico della conoscenza. Addirittura quanto si vede viene da Eco immediatamente ricondotto all’immagine mentale che si produce mentalmente mediante astrazione. È evidente che Eco parla di processi di conoscenza, ma non si vede perché l’operare dei sensi debba essere ridotto a processi di conoscenza. Lo scopo è presentare una legalità che riguarda l’uomo, ma appunto legalità è l’oggetto del conoscere, non dei sensi. Io non vedo la legalità, ma ciò che i sensi vedono. Che poi ci siano livelli di interazione con livelli conoscitivi, questo è innegabile ma anche discorso del tutto diverso. Significativo è che Eco in chiusura di paragrafo faccia riferimento al procedimento simbolico di Pierce, perché mette in mostra che simboleggiare è un modo del conoscere, nel caso presente del riconoscere, ovvero simboleggiare significa istituire collegamenti, nessi, legami, legalità, (in modo ovviamente diverso da quello duramente scientifico). Una questione interessante riguarda l’applicazione di tali osservazioni a Narciso. Narciso prima non si riconosce, poi si riconosce. Ma nell’uno e nell’altro caso si guarda. Di più, continua a guardarsi anche nella sua dannazione eterna nello Stige. È il guardare, non il riconoscere, ciò che fa Narciso. E vien da chiedersi se tutto l’aspetto cui sopra si è accennato circa il conoscere, il simbolo, siano aspetti che appartengano costitutivamente al guardare o non piuttosto applicazioni dell’ambito semantico in un ambito che semantico non deve essere per forza, quale quello delle sensazioni e del guardarsi.

Quanto Eco mostra riferirsi al percepire va inteso in senso specifico come modo in cui sensi e mente si relazionano. Il percepire allora va tenuto distinto dal sentire, il quale si può distinguere dal primo in quanto non crea legami, leggi, bensì sente, non si riferisce, e se riferisce, riferisce a sé. Questo significa anche uscire nel trattare il sentire dal considerarlo come modo immediato di conoscere contrapposto al modo mediato del rappresentare in tutte le sue forme. Nel momento in cui si concettualizza, non si sente, e anche l’immediatezza è un concetto. Assolutamente corretto vedere nella percezione un procedimento astrattivo, e questo lo mostra molto bene uno psicologo della Gestalt come Rudolf Arnheim7. Ma appunto il percepire astrae in virtù del suo essere un modo misto di sentire e conoscere. Che questo possa essere detto anche del sentire, significa sottintendere che tutti gli ambiti e i modi di essere della persona sono considerati come aventi una legalità, che tutti i modi siano modi di relazione. Il che può essere sostenuto, ma bisogna saper guardare alle conseguenze, soprattutto se si osserva che il ricercare leggi è ciò che fa la scienza, la quale peraltro sente questo ambito come suo esclusivo.

Narciso guarda lo specchio d’acqua e vede un’ immagine, che poi riconosce essere la sua propria. Si cerca di capire ora cosa veda su quella superficie, facendo attenzione a diverse versioni che duemila anni di vita del mito hanno mostrato.

1 Ivi, pp. 156-62.

2 L. B. Alberti, De pictura, lib. II 26, citato in M.Bettini, E.Pellizer, op. cit., p.162.

3 U. Eco, Intorno e al di là dello specchio, p. 25.

4 Ivi, p. 24.

5 Ivi, pp. 20-2.

6 Ivi, p.20.

7 Si veda su tutti R. Arnheim, Il pensiero visivo, Einaudi, Torino, 2011.


Andrea Togni

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