giovedì 13 ottobre 2011

Storia d'Italia in musica-risorgimento

Quello che mi prefiggo è un obiettivo ambizioso che obiettivamente non credo di poter raggiungere senza suscitare obiezioni: vorrei stilare una storia dell'Italia considerando le canzoni “popolari”. Evito ai miei(spero più di) 25 lettori la noia di definire il termine canzone popolare, anche perchè ci sono troppi significati e troppe sfumatore che certamente tralascerei qualcosa di importante; parto quindi subito con la narrazione e prenderò in esame alcune canzoni provenienti dal risorgimento. Una canzone molto bella di allora è “L'addio del volontario” non so se questo nome vi dice qualcosa, ma se aggiungo che è conosciuta anche con il nome di “Addio mia bella addio” dovreste capire di quale canzone sto parlando. Il testo fu composto nel 1848 ed era nato come una poesia di Carlo Alberto Bosi riferita alla partenza di un contingente fiorentino verso la Lombardia poco dopo lo scoppio della prima guerra d'indipendenza. Non si sa chi scrisse la musica, ma si tratta probabilmente di motivi popolariin voga allora.
Volevo soffermarmi per un attimo sulla melodia: a differenza di altre canzoni risorgimentali è lenta e malinconica e ben si accompagna al testo; questo rappresenta il saluto di un soldato alla sua sposa(o comunque alla ragazza che ama) ed è un saluto che evoca insieme paura, speranza e determinatezza. Il giovane non nasconde i pericoli della guerra, sa che potrebbe morire(ma se in battaglia io moro/ in ciel ti rivedrò/[...] Tra quanti moriranno forse anch'io sarò... ecc.) tuttavia non ha paura della morte perchè l'ideale per cui combatte vale più della sua vita (Si mora: è un bel morire/ morir per la libertà; Alla mia tomba appresso/la Gloria siederà). Il giovane è volontario ma proprio per questi ideali di libertà e di gloria si sente quasi in obbligo di partecipare alla spedizione, tanto è forte il suo amor di Patria( Addio, mia bella addio/L'armata se ne va/ e se non partissi anch'io/ sarebbe una viltà e forse ancora più emblematico è Sono uomo e son soldato/viva la libertà ). Probabilmente l'uomo capisce lo struggimento che colpisce la sua amata nel sentire queste parole e si premura di ricordarle il figlio che dovrà esserle di consolazione se lui non dovesse tornare. Il figlio rappresenta anche un altro motivo implicito per combattere: il volontario si sente in dovere di assicurargli un futuro migliore, un futuro di libertà.
Pensiamo come doveva sentirsi chi allora la cantava: magari un giovane sui vent'anni che aveva lasciato tutto quello che aveva per imbarcarsi in una guerra in cui credeva, di cui forse sapeva poco; sapeva che c'era uno straniero da qualche parte che opprimeva il suo popolo. Avrebbe potuto restarne fuori, continuare la sua vita di sempre, nei campi o in qualche bottega artigianale; poteva lasciare che altri combattessero, soffrissero e infine morissero al posto suo e invece decise di partire di combattere il nemico per un'idea di libertà che per lui valeva più di tutto compresa la sua vita. Immaginiamolo pure nel campo notturno, insieme ad altri giovani e vecchi che come lui avevano deciso di rischiare tutto, e non sapendo se avrebbe rivisto i suoi cari cantava così:

Addio, mia bella addio
l'armata se ne va
e se non partissi anch'io
sarebbe una viltà...

Lasciamo questa canzone dai tratti romantici e facciamo un salto avanti nel tempo di una decina d'anni siamo nel 1858, più precisamente il 31 dicembre. Quella sera al teatro Carcano di Milano veniva suonata una canzonetta musicata dal milanese Paolo Giorza, su un testo anonimo che riprende filastrocche lombarde, venete e piemontesi: si tratta de “La bella Gigogin”. Il testo non parla apertamente di guerra o liberazione( ad eccezione della prima strofa) ma il pubblico del Carcano interpretò alcuni passi come allusioni partriottiche: ad esempio il ritornello Daghela avanti un passo venne interpretato come l'esortazione al Piemonte a farsi avanti; il non mangiar polenta era un rifiuto del domino austriaco(il giallo della polenta poteva far pensare al giallo contenuto nella bandiera austriaca insieme al nero). Sta di fatto che la canzonetta fu subito un successo e alle quattro della mattina seguente diecimila persone si presentarono sotto il palazzo del governatore cantando Daghela avanti un passo. Musicalmente parlando abbiamo di fronte una polka, molto orecchiabile e allegra; pare che la canzone sia stata cantata durante la battaglia di Magenta il 4 Giugno 1859; a questo proposito è divertente ricordare che i primi a suonarla furono gli austriaci che la utilizzarono come segnale d'attacco, a quel punto i loro avversari risposero con il ritornello Daghela avanti un passo. Il motivo fu cantato anche dai Garibaldini durante l'impresa dei mille e rimase poi nei cuori degli italiani. Perfino nelle trincee della prima guerra mondiale i soldati cantavano quelle stesse note che già i loro padri e i loro nonni avevano cantato.
Naturalmente di canzoni risorgimentali ce ne sono molte altre, ma mi soffermerò soltanto su un'altra ancora, una canzone che tutti conoscete, ma forse non come canzone popolare. Sto parlando del “Canto degli italiani”; il nostro inno ha le parole composte da Goffredo Mameli nel 1848 e musicato da Michele Novaro e ben presto viene cantata dai soldati risorgimentali divenendo una delle canzoni simbolo del nostro risorgimento. fu inserito da Verdi ne “L'inno delle nazioni” nel 1862; nelle strofe che normalmente non si cantano si fa riferimento con forza al sentimento di unione. In particolare la terza strofa rappresenta il connubio tra unione e amore ricordando che se si è uniti non si verrà mai sconfitti; la quarta strofa, quella che io definisco “storica” fa riferimento a quattro elementi in ordine non cronologico che hanno segnato momenti di ribellione: si ha Legnano in ricordo della battaglia del 1176; c'è poi Ferruccio in ricordo di Francesco Ferrucci che difese Firenze dall'assedio delle truppe di Carlo V nel 1530; terzo il Balilla che era il nomignolo dato a Giovan Battista Perasso, ritenuto il giovane che scagliò una pietra contro l'esercito austro-piemontese porvocando una rivolta a Genova nel 1746; infine i Vespri con riferimento alla sollevazione avvenuta in Sicila nel 1282.
L'ultima strofa dell'inno è quella che prevede la disfatta austriaca e vi è anche un riferimento alla sollevazione polacca contro la Russia nel 1830/31; in quel caso l'Austria benchè non partecipò direttamente alle azioni militari era alleata della Russia e chiuse le frontiere alla Polonia, impedendo l'arrivo di rifornimenti. Mi sembra bello concludere con il testo completo dell'inno:

Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta,
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,
l'Unione, e l'amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò

1 commento:

  1. L'argomento è molto interessante e andrebbe sicuramente approfondito anche a scuola; è un peccato che la cultura musicale stia sempre più scomparendo dalla nostra istruzione. Roby<^>

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