venerdì 6 luglio 2012

La manomissione delle parole

Il seguente articolo rientra nella sezione "Discorsi Tesi", il cui obiettivo è presentare in breve il risultato di una ricerca, appunto la tesi di laurea, per fornirvi interessanti spunti da seguire per saperne di più sul tema trattato: ovviamente i pezzi non hanno lo scopo di darvi un quadro esauriente (che sarebbe impossibile fornire in poche righe, dato che ci è voluta un'intera tesi), ma dare il la per vostre future ed eventuali ricerche. Ecco il discorso della laurea triennale di Mariangela, maggio 2012. Buona lettura!


L’argomento sul quale ho incentrato il mio elaborato mi è stato suggerito da un testo di Gianrico Carofiglio intitolato "La manomissione delle parole". Ho infatti trovato molto interessante la spiegazione che l’autore ha dato del titolo scelto per il suo romanzo. Il termine manomissione è appunto stato utilizzato per il suo duplice significato: esso è sinonimo di alterazione e danneggiamento e, allo stesso tempo, è anche sinonimo di liberazione e riscatto. La manomissione nell’antico diritto romano era, infatti, la cerimonia che permetteva a uno schiavo di essere liberato. Le parole manomesse possono infatti dare un senso nuovo alla nostra esperienza, oltre che a ciò che sappiamo, che crediamo e che vorremmo: la parola riesce a definire il mondo in termini nuovi creando quella che noi chiamiamo la realtà.

La povertà della comunicazione si esprime, infatti, in povertà d’intelligenza e in soffocamento delle emozioni, quando manca la capacità di nominare le cose e le emozioni, infatti, manca anche il controllo sulla realtà e su se stessi: se non si hanno nomi per esprimere la propria sofferenza, allora la si trasforma in violenza. Anche il linguaggio oppressivo è una forma di violenza, questo genere di linguaggio, infatti, confina la conoscenza impedendo a chiunque di opporsi alla lingua del potere o anche solo di interrogarla. Viceversa la capacità di articolare correttamente le parole nei loro molteplici significati è condizione di dominio sul reale e diventa uno strumento di potere molto forte perché permette di sviluppare la propria capacità critica.

Partendo da questo spunto ho orientato dunque il mio elaborato nella direzione dell’analisi dei termini, che nel corso del tempo sono stati manipolati e hanno assunto significati poco rispondenti a quelli per i quali erano nati. Le conseguenze dell’uso scorretto che facciamo delle parole sono innumerevoli, ma quelle che hanno maggiormente attirato la mia attenzione e mi hanno spinta ad approfondire l’argomento sono quelle riguardanti la manipolazione che, tramite le parole, si può attuare sulle persone o sulle popolazioni. Partendo dalle considerazioni fatte a proposito del testo di Carofiglio, il mio interesse si è dunque focalizzato sul potere che il linguaggio e le parole hanno sull’uomo. Per comprendere appieno questo potere è stata fondamentale la lettura del testo di Philippe Breton, La parola manipolata. L’ autore presenta la manipolazione come il tentativo di imporre una posizione facendo, però, credere all’interlocutore di essere già d’accordo con essa. Analizzando le tecniche di manipolazione della parola, la negatività di ogni atto manipolatorio è risultata evidente: anche nel caso in cui si utilizzi un atto manipolatorio per raggiungere scopi positivi, infatti, si impedisce all’interlocutore di esercitare la libertà di scelta che dovrebbe essergli garantita in uno stato democratico e lo si costringe, quindi, a piegarsi alla volontà del manipolatore.

Nell’indagare la manipolazione Breton riconosce tre registri che costituiscono la parola: l’espressione, l’informazione e la persuasione. Questi tre registri, propri unicamente dell’uomo, lo distinguono dagli altri esseri esistenti in natura come gli animali e le macchine.

L’unica caratteristica delle macchine, quella per cui sono state programmate, è quella di informare. L’animale invece oltre ad avere la capacità di informare attraverso segnali scambiati all’interno della specie o percepiti dall’ambiente circostante, è anche in grado di esprimere sentimenti quali, per esempio, piacere, dolore e rabbia: l’unico essere vivente che è in grado di esprimere i propri sentimenti e il proprio punto di vista elaborando progetti, è l’uomo. La parola dell’uomo, essendo autonoma dall’ambiente che la circonda al punto di poterlo anche modificare, ha anche la peculiarità di poter dire il contrario di quello che il suo autore pensa. Perciò l’uomo è anche l’unico essere vivente in natura capace di mentire poiché sia l’animale sia la macchina, essendo unicamente in grado di scambiare informazioni, non possono mai né sbagliare né ingannare. L’uomo attribuisce, infatti, un senso di volta in volta diverso a tutti gli avvenimenti che gli si presentano, la sua parola non è affatto informativa, quanto piuttosto argomentativa.

Abbiamo identificato la manipolazione con un’argomentazione coercitiva, ma per indagarla a fondo Breton suggerisce di procedere imparando a conoscere le tecniche di persuasione che agiscono sugli affetti, e intervengono sulla forma del messaggio, e a distinguerle da quelle che influiscono sulla dimensione cognitiva, modificando la struttura interna del messaggio; mentre le prime fanno appello ai sentimenti, le seconde sono trucchi del ragionamento.

Dopo aver analizzato la parola e le tecniche di manipolazione tenta di elaborare un desiderio normativo che sia in grado di liberare la parola, e dunque la società, dalle costrizioni cui viene costantemente sottoposta. Lottare contro la manipolazione non significa dunque isolarsi dal mondo per non esserne influenzato, ma, al contrario, aprirsi al mondo con uno sguardo diverso che permetta di andare oltre le pratiche manipolatorie cui siamo continuamente sottoposti. "Se si vuole permettere a ognuno un migliore accesso alla vita pubblica, alla vita sociale tout court, l’esercizio della parola dovrà assumersi le sue responsabilità". Per conferire nuovamente responsabilità al linguaggio è indispensabile, però, che i sistemi educativi interagiscano tra loro per creare un vero e proprio insegnamento dell’utilizzo della parola. Questa speranza di normalizzazione e regolamentazione della parola non è affatto un desiderio innovativo, anzi è sempre esistita fin dall’antichità. Nell’antica Grecia, infatti, l’insegnamento della retorica era estremamente diffuso e guidava gli uomini nell’educazione morale e civica. Il modello antico è, appunto, quello che Breton vuole riproporre, adattandolo alle condizioni della nostra epoca, per rendere l’uomo nuovamente responsabile nell’utilizzo delle parole.

Questo desiderio di Breton non è, però, sorto dal nulla, nel corso degli anni, infatti, sono state elaborate diverse teorie di regolamentazione del linguaggio. Nell’ultimo capitolo del mio elaborato mi sono soffermata su una di queste teorie: la Significs, elaborata da Victoria Lady Welby intorno al 1890. Pur essendo nata con uno spiccato intento pedagogico, rivolto sia ai letterati sia alla gente comune, la Significs non è riuscita ad avere risultati duraturi. Dopo essere stata ripresa, e profondamente modificata, nel corso delle guerre del XX secolo per resistere ai tentativi manipolatori dei regimi, è stata sempre più accantonata ed è finita per essere studiata, insieme a molte altre teoria di analisi del linguaggio, solo da una ristretta cerchia di studiosi specializzati.

Come afferma Breton, "oggi, molti di noi sono ormai sensibilizzati alla manipolazione e non sono più disposti a lasciare che essa si dispieghi liberamente", ma deve essere la nostra società a proteggere i suoi membri più fragili dall’esposizione a questi tentativi manipolatori, e l’unico modo per riuscirci è quello di promuovere l’educazione del corretto utilizzo del linguaggio. In un mondo in cui le nostre parole sono state svuotate, consumate e rese prive di significato, solo smontandole e ricostruendole si potrà nuovamente conferire loro senso e consistenza.

Per manomettere il linguaggio, e poter, così, realizzare appieno le premesse di libertà individuale promesse all’uomo dalla democrazia, è indispensabile dunque favorire lo sviluppo di un’educazione specifica che insegni il corretto utilizzo delle parole e faccia rinascere, come valore fondante dell’individuo, una coscienza collettiva in grado di far sentire l’uomo responsabile degli atti a cui le sue parole conducono gli altri individui e la società. Per arrivare a questo è, però, indispensabile un grande impegno da parte della società che deve diffondere lo studio di questa "nuova retorica", come la definisce Breton, non solo all’interno di specifici percorsi di studi universitari, ma anche nel percorso educativo affrontato da tutti.

Mariangela Lentini

1 commento:

  1. E' uno studio davvero interessante. E scritto in maniera chiara e pulita. Mi farebbe molto piacere leggere l'intera tesi, qualora fosse possibile.

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