mercoledì 7 marzo 2012

IL POSTO DE' VERGOGNOSI: ANALISI DEL CAPITOLO XVI DEI PROMESSI SPOSI- Parte I

LA FUGA
«Scappa, scappa galantuomo: lì c’è un convento, ecco là una chiesa; di qui, di là» è il grido della folla che apre il XVI capitolo dei Promessi Sposi. Renzo è riuscito a liberarsi da notaio e sbirri che lo avevano incastrato dopo la sua notte “chiacchierina” all’osteria La Luna piena.Incipit che subito ha qualcosa da dire. «‐ Scappi, scappi. Non si lasci prendere.», urlano gli spettatori del duello tra Lodovico e l’ «arrogante e soverchiatore di professione» nel capitolo VI. Salta inevitabilmente agli occhi l’affinità fra le due sequenze: l’aspetto scenico della ressa, in particolare, ha la funzione di rappresentare un coro di testimoni che, come alla fine di ogni dramma, prende le difese del più debole. Lo stesso autore ci spiega questo fraterno sentimento popolare,

[…]"e, col consiglio, venne anche l’aiuto. Il fatto era accaduto vicino a una chiesa di cappuccini. L’uccisore fu quivi condotto o portato dalla folla, quasi fuor di sentimento; e i frati lo ricevettero dalle mani del popolo, che glielo raccomandava, dicendo: «è un uomo dabbene che ha freddato un birbone[…]».

Gli umili si coalizzano con gli umili di fronte all’ingiustizia, spalleggiando una legittima difesa nello stesso modo con cui proteggono un innocente ingabbiato sulla base di accuse fasulle e campate in aria, fatto capro espiatorio dai detentori del potere. È la seconda fuga nel giro di poche pagine. Nel capitolo VIII Renzo e promessa sposa, insieme alla futura suocera, scappano dal loro nido familiare grazie all’aiuto di fra’ Cristoforo.

L’accostamento delle due fughe rivela un sottile modus operandi dell’autore: se nell’addio ai monti abbiamo a che fare con un allontanamento lento, dovuto anche al mezzo di trasporto (una barca sul lago), qui facciamo i conti con una concitazione e una fretta impulsiva, con una corsa contro il tempo.
Non a caso la protagonista della prima era Lucia, che malinconicamente saluta le sue
montagne, sommessamente piange conscia di ciò che lascia e inconsapevole di ciò che
l’aspetta, colpita dall’avverso destino. Nel secondo caso abbiamo come attore principale un Renzo che, per carattere e per circostanza, non può permettersi di salutare Milano in tranquillità. Ingiustamente ingabbiato nelle mani della giustizia, riesce a cavarsi d’impiccio grazie all’aiuto della folla responsabile dei tumulti del giorno addietro. Le due situazioni sono perfettamente calibrate sui due personaggi principali, vissute dal lettore come dovevano essere vissute l’una da Lucia e l’altra da Renzo.

Confrontiamo anche dal punto di vista stilistico le due sequenze: «[…]e [Renzo], uscendo per il largo che gli fu fatto immediatamente, prese la rincorsa, e via; dentro per un vicolo, giù per una stradetta, galoppò un pezzo, senza saper dove», alla descrizione viene impresso il ritmo frenetico proprio della corsa. Essa rivela anche altri due dati essenziali: in primo luogo, i pensieri di Renzo sono tutti volti all’immediato presente, non c’è il tempo materiale di guardarsi indietro, lo sguardo non può distrarsi, è costretto a trovare il vicolo e poi la stradetta, a correre all’impazzata come un cavallo (similitudine intrinseca nel verbo galoppò); in secondo luogo, qui come nell’addio ai monti, il protagonista non sa dove sta
andando e sa però cosa si accinge a lasciare, che in questo frangente è una realtà scomoda dalla quale ha ricevuto solo cattive sorprese. Il distacco, sarà ora assolutamente poco penoso, quasi liberatorio, e la cadenza della fuga ce lo riconferma.

La fuga nel capitolo VIII appare invece come una panoramica sui luoghi ai quali i protagonisti sono costretti a rinunciare, un abbandono lento e doloroso che rivela in ogni parola la sfumatura di uno stato d’animo:
"Essi s’avviarono zitti zitti alla riva ch’era stata loro indicata. […] l’onda segata dalla barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata, che s’andava allontanando dal lido. I passeggeri silenziosi, con la testa voltata all’indietro, guardavano i monti, e il paese rischiarato dalla luna […]."
Gli attori della scena qui volgono la testa all’indietro, esattamente come i loro pensieri, che ritornano nei luoghi a loro più cari, al nido che li aveva protetti fino a quel momento. Dalla natura si passerà direttamente a Lucia e ai suoi sentimenti amari, in uno dei passaggi più alti stilisticamente parlando. Qui la descrizione approda nel “pianse segretamente” della suddetta, azione che eleva al massimo grado il personaggio: a un livello più profondo di indagine significa che la protagonista sta rielaborando interiormente tutto ciò che è accaduto nelle pagine precedenti e i suoi pensieri traboccano in un pianto sommesso, non disperato, perché è ancora viva in lei la speranza (elemento tipicamente manzoniano).

Elisa Carati

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