mercoledì 11 gennaio 2012

LA CULTURA COME CATEGORIA POLITICA Parte II

Nell’ambiente anglosassone si è formata la distinzione tra politics, policy e polity, che insieme danno vita al concetto di political, intendendo con ciò il rapporto necessario, con esiti pubblici potenzialmente vincolanti, dei diversi fini di coloro che compongono l’aggregato umano considerato: il political corrisponde quindi al rapporto necessario tra l’ambito coattivo (politics) che studia ciò che riguarda il potere, la sua influenza, la sua legittimità e la sua applicazione pratica nei partiti e nelle architetture politiche; la dimensione dell’aggregazione di fini, policy, secondo cui il fine della comunità scaturisce dalla pluralità dei fini intermedi, (in italiano lo traduciamo con politiche pubbliche); ed infine l’ambito umano che crea l’identità nazionale (polity).
L’incontro tra cultura e politica può generare la cultura politica, l’insieme dei valori che la cultura porta alla politica o la politica della cultura, che raggiunge esiti politici per fini culturali. Esempi di politiche della cultura sono il “J’accuse” di Emile Zola, articolo pubblicato sulla rivista “L’Aurore”, in cui l’intellettuale francese denuncia l’ingiustizia dell’affaire Dreyfuss, ufficiale ebreo condannato per aver aiutato i tedeschi nella guerra franco-prussiana: l’ufficiale, sostiene Zola, è il capro espiatorio dell’eccessivo patriottismo e dell’odio nei confronti degli ebrei, che si era sviluppato in tutta Europa nella seconda metà del XVIIIsec. Nasce un nuovo ruolo dell’intellettuale, di denuncia nei confronti delle ingiustizie con la volontà di ricercare la verità.
Un discorso analogo può essere svolto per Patocka, intellettuale ceco, che fonda la Charta 77 per denunciare il partito comunista ceco, reo di non rispettare il patto di Helsinki e violare i diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti gli individui: con la Charta 77 associazione libera ed informale che si propone di ricercare un dialogo con il potere, Patocka denuncia soprattutto l’assenza di libertà di religione, associazione, sciopero, opinioni, espressione, comunicazione e circolazione che si trova nel suo Paese e spera di poter fondare una nuova Cecoslovacchia, basata sulla responsabilità e il rispetto dei diritti universali. Il cinese Xiaobo riprende l’idea dell’intellettuale ceco, con la Charta 08, diffusa su internet nel 2008, anniversario della dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, tramite la quale vengono denunciate le storture di un Paese, la Cina, prima potenza mondiale, ma incapace in tutta la sua storia di dimostrare rispetto dei diritti civili. Xiaobo, proponendo un modello occidentalistico di valori, sostiene la necessità della tutela delle libertà espresse già nella Charta 77 e chiede il ridimensionamento del ruolo del partito comunista in Cina, che detiene tutt’oggi il monopolio in tutti i campi, non permettendo il dialogo e l’opposizione all’interno della nazione: solo eliminando la mentalità da suddito, che ha da sempre caratterizzato la storia della popolazione cinese, e formando una mentalità da cittadino, si possono raggiungere quegli obiettivi di libertà, uguaglianza ed opportunità che Xiaobo si propone.
Il rischio che si corre quando si ricopre un ruolo di denuncia è la politicizzazione della cultura e l’incapacità di denunciare i mali del proprio partito, come sostiene Raymond Aron ne “L’oppio degli intellettuali”: in un periodo, come quello successivo alla seconda guerra mondiale, in cui il comunismo appariva agli europei come il vento del cambiamento e Sartre era diventato paladino di questa ideologia, Aron seppe coraggiosamente andare contro-corrente, criticando i mali compiuti dai regimi comunisti, non così diversi dalle dittature di destra: in entrambi il romanticismo della violenza rivoluzionaria continuava a vivere. Il ruolo scomodo di Aron si esplica chiaramente nello slogan dei sessantottini francesi: “meglio aver torto con Sartre che ragione con Aron”: per questo la sua opera è da ritenersi un vero esempio di cultura non politicizzata, che si propone l’obiettivo di diffondere valori condivisibili e fare della cultura la base del nostro vivere civile, perché come abbiamo visto nei totalitarismi denunciati da Harendt e Orwell, ma anche nella partitocrazia criticata da Weil, quando la cultura manca, si perdono di vista le vere priorità, dimenticando che il partito e la politica più in generale non devono avere come fine quello di accrescere il proprio potere, ma piuttosto creare un momento e un luogo di condivisione e comunicazione intersoggettiva di valori.

>>FEDE

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