L’arte di Nietzsche trascende l’essere storia per farsi mito. Il fatto che la modernità, termine che significa l’intera epoca che sviluppa il pensiero di Socrate, abbia sistematizzato il mito per renderlo oggetto di studio della storia non può allora che essere segno di decadenza. L’arte moderna ha abbandonato il suo essere musica, il suo essere mito, il profumo di un presentimento metafisico. La mondanizzazione che attraversa il naturalismo nelle sue infinite varianti di sviluppo per epoca e luoghi rappresenta la perdita dell’arte così come intesa da Nietzsche. «E un popolo- come del resto anche un uomo- vale solo per quanto sa imprimere sulle sue vicende l’impronta dell’eterno»: questo significa che il momento più piccolo del presente deve potersi rivelare «sub specie aeterni». Nietzsche nota nella decadenza della cultura a lui contemporanea l’atteggiamento esattamente opposto, tutto concentrato sulle piccolezze e le frivolezze di un presente che viene addirittura divinizzato. Il ritorno e la rinascita della tragedia da lui auspicati non sono allora la nostalgia per un tempo particolare e perduto, ma la volontà di riportare l’arte, l’intero popolo germanico, l’intera cultura umana, verso quell’elemento eterno che continuamente ricompare.
Anche il mondo greco è per Nietzsche caratterizzato da un invecchiamento, e soggetto perciò allo scorrere del tempo. La «serenità greca» è stata sostituita da quella «dello schiavo», questo a causa della perdita da parte dei greci della fede nell’immortalità, e perciò anche in un «passato ideale» e in un «futuro ideale»; il tempo si viene perciò a costruire nella tarda epoca greca in capriccio, arbitrio, perdita della potenza immortale del tempo tragico. L’arte dionisiaca, la musica, il mito tragico sono dal filosofo prussiano intesi come conoscenza che dà accesso all’eterno, alla vita eterna; l’arte apollinea si pone come «luminosa glorificazione dell’eternità dell’apparenza»; l’incessante mutare delle apparenze è dall’arte tragica eternamente accettato, e si può vedere in questi passi una prefigurazione della dottrina dell’eterno ritorno. Attraverso l’arte tragica è possibile «vivere in modo felice» non più come individui particolari, ma ricongiunti a un’esistenza originaria in grado di fornire un eterno piacere. Ancora, la musica autenticamente dionisiaca, non corrotta dalle successive degenerazioni, è in grado di farsi «specchio universale della volontà del mondo», in modo così da dare in intuizione la «verità eterna».
Il modo di declinare l’arte trova in Nietzsche un riflusso che interessa il modo di vivere. Il suo sguardo è anche, paradossalmente, rivolto alle generazioni future, le quali dovrebbero essere educate nello spirito tragico, in modo da abbandonare «tutte le dottrine di mollezza di quell’ottimismo» moderno disegnato attraverso un uomo buono e fiducioso per cui tutto si riduca a una conoscenza felice e senza ostacoli. Ma l’esistenza impone che non si possa fuggire, e si debba al contrario farsi carico di una sofferenza, inevitabilmente eterna, che cade sulle spalle di ognuno con tutto il suo peso, divenendo «sofferenza propria».
Il tema dell’eternità, come si è visto, è declinato nelle sue più diverse sfaccettature, riferito quasi a ogni campo dell’esistenza. Esso diviene anche caratterizzante dell’ontologia espressa nella Nascita della tragedia. Mediante la musica e la danza, il principium individuationis che rende particolare ogni singolo, lascia il posto ad una «comunità superiore», dove ognuno «sente se stesso come dio» e raggiunge l’appagamento massimo nell’unità originaria che è «armonia universale» e che si fa unità. Il dionisiaco appare come «potenza artistica eterna e originaria» in grado di dare una giustificazione dell’esistenza, la quale, essendo improntata da sofferenza eterna e tragica, necessita del velo di bellezza che l’arte di Apollo è in grado di porre. Apollo rende così la vita degna di essere vissuta, aiuta nella sopportazione del peso enorme di una metafisica che nella sua unità si pone come eterna sofferenza e che necessita perciò delle gioiose illusioni che l’apollineo fornisce. Unità significa perciò che tutto e nulla deve rientrare nel flusso eterno così designato, senza che l’esclusiva venga dato a consolatorie presupposizioni di una bontà garantita in modo inequivocabile.
«Solo come fenomeni estetici l’esistenza e il mondo sono eternamente giustificati»: questo è probabilmente l’aspetto maggiormente decisivo dell’opera nietzschiana. L’arte nell’autentica e metafisica declinazione è in grado di umiliare ed esaltare, di rendersi soggetto e oggetto. La conoscenza basata sulla non contraddizione lascia il posto ad un diverso tipo di sapienza, che vede nell’eterno un suo specifico decisivo, e che è nella metafisica e non in una piccola serenità terrena che trova il suo spazio.
L’arte che disegna Nietzsche allora nulla ha che fare con l’educazione. Banale, e arrogante, è pensare che l’arte venga proposta per lo spettatore, per il suo bene, per il suo miglioramento. La continua sottolineatura della necessità di migliorare la propria persona, la propria natura, è questione imposta da tematiche sociali, da un ideale di uomo dedito alla conoscenza e al corretto vivere. Troppo poco, secondo Nietzsche, troppo poco e troppo piccolo è questo uomo che si accontenta, che perde il proprio istinto sovrano, che non è in grado di farsi carico del peso dell’esistenza che è anche eterna sofferenza. Il fatto che con Socrate e Platone la poesia e l’arte in generale siano divenute ancillae filosofiae non può che essere considerato segno di impoverimento della spirito tragico. Nietzsche pone una lotta eterna tra le concezione del mondo così come la pone l’uomo teoretico e come invece la pone l’uomo tragico, in modo da esplicitare una volta di più il rifiuto di una fede ottimistica circa la possibilità di conoscere compiutamente la natura, che d’altra parte di dà come conoscibile, e circa l’«efficacia risanatrice universale del sapere». Una conoscenza che si attua su atomi di presente perfettamente trasparenti, almeno in potenza, è allora qualcosa da tenere distante dall’arte.
Andrea Togni
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