domenica 12 febbraio 2012

Accenni sulla questione del tempo nella Nascita della tragedia- Parte III

Così come distante dall’arte vanno tenute le sfere della morale e della politica. Le parole di Nietzsche possono rendere l’idea del giudizio che egli dà di un modo di fare cultura che è familiare a tutt’oggi: la cultura alessandrina (moderna, si potrebbe dire) «ha bisogno, per poter esistere durevolmente, di una classe di schiavi» e «non c’è niente di più terribile di una classe di schiavi che abbia imparato a considerare la sua esistenza come un’ingiustizia e che si accinga a fare vendetta non solo per sé, ma per tutte le generazioni». Un’arte che si faccia specchio di tali istanze morali, politiche, è un’arte debole, pronta a difendere un ideale di uomo in inevitabile decadenza, un ideale che non è in grado di farsi carico del peso dell’esistenza preferendo scaricarlo su una non meglio precisata, e comunque insufficiente, caratterizzazione dell’uomo come essere di conoscenza e garantito da diritti che si autoimpone in modo arrogante e arbitrario. Se Apollo mediante il principium individuationis può rivestire di bellezza ideali come la patria e lo stato, e d’altra parte lo stesso Nietzsche parla a più riprese di una cultura tedesca o greca, non è però alla dimensione mondana che l’arte debba rivolgersi, né tantomeno deve essa farsi strumento di battaglie politiche. L’arte esprime l’uno originario e con esso l’intera vòlta dell’esistenza. È un errore tipicamente moderno trarre dalla tragedia solo insegnamenti morali circa una peculiare unità di mondo ordinato e conchiuso. Nietzsche rifiuta un’arte costruita per uno spettatore che si pone in una prospettiva a metà morale e a metà critico-erudita, l’arte non è rispecchiamento dell’attualità politico-sociale, non è strumento di divertimento e di intrattenimento.
Nietzsche, mediante la tragedia di Sofocle e di Eschilo, esige una rinascita dello spirito tragico che giustifichi il giusto e l’ingiusto, entrambi. La questione viene spostata da un’arte che si fa portabandiera di una morale decadente a un’arte che, in quanto campo privilegiato dell’estetica, sia in grado di giustificare il mondo, la vita, l’esistenza, tutto, e niente. L’arte deve assumere un senso metafisico ampio e profondo che superi il piano della conoscenza socratica. Un’ennesima polemica Nietzsche la rivolge contro coloro che non sanno parlare la lingua della musica come lingua madre, vedendo in essa un semplice simulacro fatto di percezioni musicali. Se l’apollineo permette alla musica di farsi immagine bella del mondo, la musica deve però permettere una visione più intima e porsi come osservazione mediante un «occhio spiritualizzato e rivolto nell’intimo» delle del mondo. Se la tragedia si riveste di una valenza apollinea, è però necessario secondo il filosofo prussiano andare maggiormente in profondità verso una sapienza dionisiaca. Il potere visivo deve non fermarsi alle superfici, ma piuttosto penetrare nell’intimo con l’aiuto della musica. Con estetica dunque Nietzsche non intende una dimensione legata ai soli sensi, ma ciò che è in grado di trascendere la particolarità per cogliere il nucleo essenziale dell’esistenza. L’estetica giustifica tutto, il giusto e l’ingiusto, la morale dunque, la metafisica, l’ontologia. Vi è un farsi carico da parte dell’estetica della necessità di giustificare l’eterno divenire dell’uno originario. Decisivo il fatto che è l’eternità la dimensione temporale in cui si gioca tale cruciale partita.
Nel Tentativo di autocritica: «i miei occhi del resto non sono rimasti estranei a quello stesso compito cui osò accostarsi per la prima volta quel libro temerario- cioè a vedere la scienza con l’ottica dell’arte e l’arte invece con quella della vita». L’arte sostituisce la morale come disciplina in cui si coagula una metafisica avente come compito quello di giustificare mondo ed esistenza. «Io sono convinto dell’arte come del compito più alto» come «attività metafisica di questa vita», l’arte è un compito che deve giustificare quella saggezza di Sileno così devastante se presa seriamente come Nietzsche non può non fare. A re Mida, il quale chiede al satiro Sileno quale sia la cosa più desiderabile per l’uomo, Sileno risponde: «”Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggioso non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è- morire presto”». Il masso cui arte ed estetica devono rendere conto è niente meno che la potenza del nichilismo. L’istinto sovrano dell’uomo nietzschiano deve farsi carico di ciò, e per farlo è la dimensione estetica che deve primariamente considerare. Vi è la necessità, nel guardare la tragedia, di «oltrepassare quello sguardo», di udire e «oltrepassare l’udito», di aspirare all’infinito. L’estetica oltrepassa la dimensione dei sensi per farsi giustificazione metafisica.
È un risultato inevitabilmente portato al fallimento, quello di Nietzsche, proprio perché assume la dimensione temporale dell’eternità come parametro di guida dell’estetica. Tempo significa trascendenza, significa riferimento ad altro, all’attimo precedente e a quello successivo, significa fluire, e Nietzsche ne è assolutamente consapevole nella sua caratterizzazione dell’eterno. La contraddizione di tempo ed eterno è elemento essenziale dell’uno originario così come lo stare insieme di apollineo e dionisiaco. Nietzsche vuol farsi carico dell’uno originario e del niente tracciato da Sileno, il che è perfettamente conforme al suo istinto sovrano. Il fatto però che assuma la dimensione temporale dell’eternità come elemento caratterizzante della giustificazione estetica della metafisica, mina alla base quel compito che il filosofo prussiano si pone. Il tempo è la dimensione della scienza, del divenire, al di là del fatto che venga pensato come divenire sequenziale o vissuto o in altro modo. Forse non è sufficiente dire che l’arte si pone al di fuori del tempo della mondanità per il tempo dell’eternità. Forse si deve affermare che l’arte rinuncia al tempo, così come all’eterno, perché il tempo e l’eterno sono le dimensioni dell’andare oltre, dell’andare in profondità, dell’oltrepassare lo sguardo. L’andare oltre rende inevitabile assumere la legislazione che l’oltre propone all’occhio, allo sguardo, all’arte. L’andare in cerca della profondità, per quanto sia essa niente come Sileno e Nietzsche sanno, è un consegnarsi al compito, alla ricerca, è un considerarsi necessitanti di miglioramento, ovvero di quell’elemento socratico che Nietzsche continuamente nega. È inevitabile che la caratterizzazione di Nietzsche dell’arte come legata all’eterno lo porti ad affermare di dover vedere la scienza con gli occhi dell’arte e questa con quelli della vita. Ma cosa significhi vedere l’arte con gli occhi della vita è francamente misterioso. L’arte, diversamente da quanto Nietzsche afferma, va vista con gli occhi dell’arte. Proprio l’arte è il campo che non va oltre, proprio il guardare un quadro non richiede altro che il guardarlo. L’arte non è un momento di simboli, di trascendenze. Se così fosse, si consegnerebbe a ciò verso cui sarebbe diretta, al suo compito, al suo fine. L’eterno ritorno, per quanto non abbia una direzione progressiva, ha pur sempre un indirizzo. Nietzsche rischia di vedersi trasformato il suo istinto sovrano in un istinto suddito.

Andrea Togni

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