mercoledì 8 febbraio 2012

D. H. Lawrence critico del romanzo: la sincerità

Il seguente articolo rientra nella sezione "Discorsi Tesi", il cui obiettivo è presentare in breve il risultato di una ricerca, appunto la tesi di laurea, per fornirvi interessanti spunti da seguire per saperne di più sul tema trattato: ovviamente i pezzi non hanno lo scopo di darvi un quadro esauriente (che sarebbe impossibile fornire in poche righe, dato che ci è voluta un'intera tesi) ma dare il la per vostre future ed eventuali ricerche. Ecco il discorso della laurea triennale di Roby <^>, novembre 2011. Buona lettura!


ROMANZI, VITA E SINCERITÀ

Per comprendere appieno cosa Lawrence intenda quando afferma che il romanzo deve rappresentare la vita con sincerità, è fondamentale chiarire anzitutto il modo in cui egli concepisce la vita stessa. Come si legge in “Art and Morality”, l’universo è per lui un oceano che fluisce senza sosta in una direzione ignota, trascinato dal flusso delle relazioni che ciascuno di noi intrattiene con tutto ciò che lo circonda, sia che si tratti di un altro essere vivente, sia che si tratti di un essere inanimato. Perché si possa parlare di vera vita, però, queste relazioni devono essere pure e sincere, basate cioè sul rispetto di sé e dell’altro. Ciò è possibile, secondo Lawrence, soltanto se si ascolta il proprio istinto, fonte della più pura sincerità. Questa è dunque la prima accezione della parola, che tanto ricorre nei saggi analizzati: la sincerità di una relazione è stabilita dalla cosiddetta “quickness of the quick”, la velocità di ciò che è veloce, espressione che troviamo nel saggio “The Novel”. Soltanto se ci si relaziona agli altri con la velocità e l’immediatezza dell’istinto, che è paragonato da Lawrence a una fiamma che arde dentro di noi ed esprime la nostra personalità, sarà possibile intrattenere relazioni sincere e pure.
D’altro canto, proprio la velocità garantisce il continuo cambiamento cui le relazioni sono sottoposte. Per mantenere il precario equilibrio su cui si reggono, il romanzo deve tenere conto di questo cambiamento: la vecchia fase della relazione non deve trascinarsi stancamente nel presente, ma al contrario essere sostituita da una nuova fase, che si basa su un equilibrio completamente nuovo fra diversi aspetti e valori.
Il romanziere quindi non dovrà indugiare su relazioni ormai passate, come fanno Proust e Joyce, che secondo Lawrence recuperano il passato semplicemente per rivestirlo di un’aura quasi sacrale, senza realmente relazionarlo col presente, mentre dovrà necessariamente rappresentare tutti gli elementi che concorrono a bilanciare la relazione, sia che si tratti di sentimenti piacevoli o convenienti, come l’amore, sia che si tratti invece di sentimenti disdicevoli e irrazionali, quali l’odio e il rancore.
Se invece propende per un valore, il romanziere cadrà nell’errore commesso da molti, tra cui il russo Tolstoj, che in Anna Karenina ha sbilanciato l’equilibrio della relazione tra Anna e Vronskji, fondato su un sincero amore passionale, scegliendo di condannare l’adulterio a favore dell’amore fedele, come viene concepito dalla morale cristiana. In questo modo, però, non solo non è stato sincero nei confronti della relazione, ma anche e soprattutto nei confronti del romanzo e di se stesso: secondo Lawrence, infatti, dalle pagine del romanzo emerge un vero e proprio culto dell’amore passionale da parte dell’autore; facendo trionfare le convenzioni morali egli ha perciò rinunciato alla propria dignità di uomo e al proprio onore, spegnendo quella fiamma che ardeva dentro di lui in modo così evidente per conformarsi a regole di comportamento che per Lawrence non hanno più ragione di esistere.
Non può che esserci falsità, dunque, in un’opera in cui la vita viene ridotta a un’interpretazione morale soggettiva che rispetta le convenzioni imposte dalla società e dalla cultura ufficiale e pretende di essere assoluta. È il caso dei romanzi di stampo naturalista, che presentano sempre un inizio, uno svolgimento e una conclusione, secondo una concezione meccanicistica della realtà che prevede che ogni evento risponda a una legge ineluttabile, spiegata dalle parole rassicuranti del narratore. Questo tipo di rappresentazione è falsa perché parziale e convenzionale secondo Lawrence; inoltre, non è più possibile in un’epoca come il primo Novecento in cui ogni certezza del passato è stata sostituita dalla crisi di tutti i valori morali e culturali. Se non c’è più la possibilità di spiegare la realtà in modo meccanicistico allora non ha nemmeno più senso mentire a se stessi e continuare a rappresentarla in tal modo.

CRITICA E SINCERITÀ
Un’altra occasione in cui Lawrence parla della necessità di essere sinceri è la stesura del saggio su John Galsworthy nel 1927, in cui attacca la prevalente convinzione che la critica sia una scienza esatta, basata su regole rigorose da applicare ai testi, a propria volta concepiti quasi come essere viventi dotati di qualità oggettive indiscutibili.
Secondo Lawrence, invece, il parametro di una disciplina come la critica letteraria, che non ha assolutamente nulla a che fare con la scienza, non può essere la ragione, ma l’emozione sincera provata nell’atto di lettura. Si tratta dunque di una sorta di creazione artistica assolutamente personale, che solo chi si occupa d’arte e letteratura può veramente portare a termine. Altrimenti la critica sarà soltanto uno sproloquiare, come lo definisce Lawrence, sullo stile e la forma, che per lui non hanno alcuna importanza se il contenuto non è significativo e competente, cioè se non è dato con sincerità.








Roby <^>

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