martedì 28 febbraio 2012

La religione nel contratto sociale di Rousseau- Parte II

Nel capitolo ottavo del quarto libro del Contratto Sociale, Rousseau ci presenta una successione cronologica delle religioni storiche, spiegando anche i motivi che hanno causato il prevalere dell’una sulle altre nelle diverse fasi storiche. Secondo il filosofo ginevrino la successione si articola in questo modo:

1. Il Governo Teocratico
Originariamente gli uomini posero gli Dèi come loro Re, poiché a quei tempi non potevano sopportare di avere propri simili come padroni e per questo motivo tutti i Re erano anche Dèi e venerati come tali. Vi sono numerosi esempi che confermano questa tesi: basti citare i faraoni egizi, o, come fa Rousseau, gli imperatori romani e in modo particolare Caligola, e i Greci che si consideravano sovrani naturali dei Barbari.
Per Governo Teocratico il filosofo ginevrino intende quindi l’organizzazione religiosa statale per cui autorità politica ed autorità religiosa coincidono in un’unica figura venerata e considerata come una divinità.
Da ciò consegue che, poiché Dio veniva posto a capo di ogni società politica e vi erano tanti Dèi quanti popoli, nacque il politeismo e con esso l’intolleranza religiosa e l’intolleranza civile, che come approfondirò nell’ultima parte, sono la stessa cosa.

2. Il Politeismo Pagano
Con le numerose conquiste dell’Impero Romano, che arrivò ad occupare quasi tutte le terre allora conosciute, ogni imperatore doveva affrontare il problema della coesione e della compattezza dell’immenso territorio su cui si trovava a governare: era quindi evidente come la religione potesse rappresentare un importante fattore di unità da sfruttare a proprio vantaggio.
Nelle numerose guerre in cui i Romani assoggettarono una grandissima quantità di popolazioni, lasciarono ai vinti i loro Dèi, proprio perché consideravano questi Dèi sudditi dei propri, imponendo il solo tributo a Giove Capitolino. In questo modo permisero la diffusione dei loro Dèi ma nel contempo anche l’assorbimento di nuove divinità, e così l’immenso impero si trovò ad avere una moltitudine di Dèi e il paganesimo diventò la religione universale, ovvero la «sola e identica Religione del mondo conosciuto», elemento decisivo per la coesione di quel vasto impero.

3. Il Cristianesimo
Fu in questo contesto che venne a prendere lentamente forma un nuovo culto, dapprima esercitato di nascosto dalle minoranze, poi sempre più ampio capace di coinvolgere una grandissima parte dell’Impero, il Cristianesimo che, con l’editto di Costantino nel 313 d.C., divenne religione ufficiale di stato.
Il Cristianesimo «venne a fondare sulla terra un regno spirituale […] separando il sistema teologico da quello politico». L’idea di un mondo ultraterreno, infatti, portò i Cristiani a distaccarsi dalle cose di questo mondo ed a considerare l’aldilà con una priorità certamente maggiore rispetto alla vita terrena. Tutto ciò era chiaramente intollerabile per i Pagani che iniziarono a perseguitarli: la loro paura si era avverata, si crearono incomprensioni a causa della duplicità dei poteri e l’unità dello Stato iniziò ad incrinarsi.
Per dimostrare la sua tesi, Rousseau riporta l’opinione di Hobbes, elogiandolo poiché fu l’unico ad avere visto il male del Cristianesimo, ovvero la separazione dei poteri, l’incompatibilità d’interessi del Prete e dello Stato e conseguentemente la divisione interna dello Stato stesso.
L’ultimo capitolo del Contratto Sociale lancia spunti di riflessione interessanti; infatti si inserisce all’interno di una serie di opere filosofiche (soprattutto hobbesiane) che affrontano due temi fondamentali:




1. Il problema del dualismo Stato-Chiesa
Criticando violentemente il cristianesimo, Rousseau, ne sottolinea il maggior difetto: la creazione di una duplicità di poteri e conseguentemente di una confusione relativamente a chi si debba realmente obbedire. Con il Cristianesimo è nato il forte dualismo tra Stato e Chiesa.
Il filosofo ginevrino si schiera in modo esplicito dalla parte di Hobbes, che nelle sue opere aveva sostenuto la necessità di sottomettere il potere religioso a quello politico-civile, ponendo entrambi i poteri nelle mani di un unico Sovrano. Questo è l’unico modo per tutelare l’unità dello Stato che altrimenti viene diviso al suo interno, diventa più debole e non riesce a garantire più la sicurezza dei cittadini, unico scopo per cui è stato fondato.

2. La libertà delle coscienze
Al nucleo concettuale della tolleranza si collega il tema della libertà delle coscienze.
Rousseau è molto chiaro a questo proposito: «Il diritto che il patto sociale conferisce al Sovrano sui sudditi non oltrepassa […] i limiti dell’utilità pubblica». Ciò significa che il Sovrano può controllare le opinioni dei cittadini solo se sono opinioni importanti per la comunità; in tutto ciò che sconfina l’ambito civile il Sovrano non ha alcun potere o alcun diritto, non deve preoccuparsi di quale sarà la vita futura dei sudditi, non può obbligare nessuno a credere in una determinata religione, anche se può bandire un cittadino infedele non in quanto empio ma in quanto asociale. Il Sovrano deve cioè interessarsi unicamente alla vita sociale nello Stato e preoccuparsi che i sudditi siano buoni cittadini.
Per il filosofo di Ginevra è quindi di fondamentale importanza garantire ai sudditi una libertà che Hobbes definirebbe “silenzio delle Leggi”, ovvero una libertà totale in tutto ciò che non è prescritto dalle leggi. Ma c’è di più: Rousseau si preoccupa anche di evitare che le Leggi del Sovrano oltrepassino l’ambito dell’utilità pubblica, ponendo un vero e proprio limite al Sovrano stesso nel momento della legiferazione. Il suddito è quindi libero di fare ciò che vuole e credere in ciò che vuole purché mantenga una professione di fede civile, sia un buon cittadino e un suddito fedele.

>>FEDE

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