mercoledì 9 novembre 2011

I primi passi nell'indagine del cervello

Con questo post apriamo la sezione di Neuroscienza e Neuroetica, trattata da Mariangela Lentini e Corinna Maria Traversa, che speriamo possa appassionarvi man mano che verrà ampliata. Può sembrare infatti un ambito di difficile comprensione o interesse per noi giovani ma conoscere il funzionamento del cervello e i problemi etici a questo connessi può essere senza dubbio un'occasione di arricchimento e di riflessione per tutti. Buona lettura!!

I PRIMI PASSI NELL'INDAGINE DEL CERVELLO
L’intuizione che modificazioni all’interno della scatola cranica potessero comportare modificazioni del carattere e della personalità risale, addirittura, a 2000 anni prima della nascita di Cristo. I primi a fornircene un esempio, anche se diretto a scopi molto diversi da quelli odierni, furono gli Egizi. Essi eseguivano abitualmente trapanazioni craniche sul faraone morente per permettere ai demoni imprigionati nel corpo del faraone e responsabili della sua agonia di trovare una via di uscita attraverso il foro praticato nel cranio.
Nel IV secolo a.C. fu Aristotele a tentare di dare una collocazione alle nostre funzioni vitali individuando le sedi delle forze vitali dell’uomo in una serie di ventricoli cerebrali.
Durante il I secolo d.C. Scribonio Largo nelle sue “Computationes Medicae” ci fornisce, invece, il primo esempio di stimolazione elettrica cerebrale eseguita con metodi naturali. A parere del medico romano, infatti, la scossa elettrica causata dall’applicazione di torpedini sul corpo umano aveva effetti benefici nel combattere l’emicrania.
Per quanto riguarda i primi tentativi di localizzare in specifiche zone del cervello le funzioni del corpo dobbiamo aspettare il IV secolo d.C., periodo nel quale Agostino ipotizzò che il cervello fosse diviso in tre ventricoli, ognuno addetto a una determinata funzione del corpo umano. Tuttavia bisognerà attendere Alberto Magno (1200) per avere la prima collocazione specifica dell’intelletto nella zona anteriore del cervello.
Un ulteriore passo in avanti si avrà nel 1600 quando Cartesio elaborerà il suo dualismo, introducendo l’idea che la mente ha caratteristiche proprie che il corpo non può avere. A parere del filosofo, infatti, la res cogitans è una sostanza immateriale in interazione problematica con la res extensa, la materia di cui è costituito il nostro organismo. Il “mentale” viene, quindi, a caratterizzarsi, in opposizione al fisico, per l’unità( il flusso di coscienza e il focus dell’attenzione sono convergenti), l’immediatezza (conoscenza introspettiva diretta dei nostri stati interni), l’immunità dall’errore rispetto all’ascrizione degli stati (uno stato che ci sembra nostro non può che essere nostro) e il carattere qualitativo (l’effetto che fa essere se stessi o esperire certe sensazioni).
Sarà Leibniz nel 1700 a porre una solida argomentazione contro l’idea riduzionalistica del mentale attraverso la metafora del mulino: si immagini di essere ridotti alle dimensioni di un insetto piccolissimo, potremmo allora entrare nel cervello come in un gigantesco mulino meccanico esaminandone in dettaglio il funzionamento, e studiandone gli ingranaggi. Per il filosofo, insomma, il cervello, in quanto oggetto fisico, sarebbe simile a una macchina complessa i cui elementi costitutivi sono oggetti materiali e non pensieri o idee che appartengono a una diversa sfera del reale.

LA NASCITA DELLE NEUROSCIENZE
Le Neuroscienze nascono, nella loro forma più rudimentale, nel 1800 attraverso lo studio di pazienti affetti da deficit funzionali le cui cause erano riconducibili a lesioni corticali.
Uno dei casi più famosi fu documentato nel 1848, anno in cui un operaio statunitense, Phineas Gage, posizionò una carica esplosiva in una cavità rocciosa utilizzando una sbarra di metallo di 6 kg. A causa dell’esplosione, però, la sbarra perforò il cranio dell’uomo uscendo dalla parte opposta. L’uomo non perse mai conoscenza e guarì fisicamente in meno di due mesi; il suo carattere, però, cambiò totalmente, da lavoratore scrupoloso e attento qual era divenne irrequieto, svogliato e aggressivo. Il cambiamento di carattere fu attribuito alle lesioni subite dalla corteccia cerebrale prefrontale e, in particolare, dalle aree deputate alla mediazione tra componenti emotive e componenti cognitive dell’azione, mediazioni cruciali per le decisioni che comportano un aspetto morale.
Nel 1861, invece, il fisiologo francese Pierre Broca ci fornisce il primo esempio di studio neuroscientifico attraverso l’analisi di un paziente che, pur comprendendo perfettamente il linguaggio, non era, però, in grado di articolare parole di senso compiuto. In seguito ai risultati forniti dall’autopsia Broca riuscì a identificare la causa del deficit in una lesione della parte posteriore del lobo frontale sinistro. Solo dopo aver comparato diversi casi simili Broca poté, nel 1864, identificare il lobo frontale sinistro come area della parola.
Mentre sarà lo studio condotto nel 1879 dal tedesco Carl Wernicke che permetterà di attribuire la causa della mancata comprensione del linguaggio a una lesione dell’area temporo-parietale sinistra.
Sino a questo periodo, quindi, l’indagine sul cervello umano era condotta utilizzando esclusivamente due metodi d’indagine:
· Sezionare l’organo post-mortem studiandone l’aspetto e l’anatomia ma senza poter ottenere informazioni sul suo funzionamento;
· Studiare come i traumi cerebrali causati da incidenti modifichino il comportamento delle persone.
Queste osservazioni, però, non sono ancora etichettabili come veri esperimenti, permettono solo di trarre conclusioni molto generali su quale zona del cervello sia importante per quale funzione dell’organismo.
Solamente nel corso del XX secolo con l’avvento delle nuove tecnologie di neuro immagine è stato possibile studiare il cervello mentre è ancora in uso, “fotografandone” l’attività e tracciando mappe della corteccia cerebrale. Oggi esistono molte tecniche per studiare il cervello, ma ce ne sono due che sono tra le più diffuse:
· L’elettroencefalogramma (Eeg) utilizza un piccolo casco all’interno del quale molti elettrodi misurano la presenza dei piccoli campi magnetici che si creano quando le cellule neurali si attivano;
· La risonanza magnetica funzionale (fMRI), sfruttando la proprietà magnetica delle cellule di emoglobina nel sangue, ci permette di capire quali parti del cervello stiano ricevendo più ossigeno, cioè quali parti del cervello siano più “attive” in un determinato momento.
Molto importanti sono anche la tomografia ad emissione di positroni (PET), che permette di misurare alcune aree cerebrali in corrispondenza temporale all’esecuzione di compiti cognitivi, e la stimolazione magnetica transcranica che permette di disturbare l’attività di determinate aree cerebrali per valutare il corrispondente cambiamento delle funzioni mentali che a tale area si ritengono associate.
Un recente studio su persone affette da epilessia del lobo temporale refrattaria a ogni cura mostra come i progressi nel campo delle neuroscienze siano dovuti principalmente alle nuove tecniche sopra citate. Grazie alla risonanza magnetica funzionale sono stati analizzati gli schemi di codifica mnemonica di immagini, parole e volti prima e dopo l’operazione chirurgica di resezione del lobo temporale anteriore, un intervento mirato a ridurre i gravi sintomi dell’epilessia. Tuttavia i risultati hanno riscontrato un peggioramento della memoria verbale in tutti i pazienti sottoposti a resezione del lobo temporale anteriore destro. In studi di questo tipo trovano conferma la localizzazione di alcune funzioni, la loro tracciabilità strumentale e l’aspetto di predizione che permette di fare un passo oltre l’ipotesi iniziale di correlazione tra attivazione cerebrale e prestazione cognitiva.



Lentini Mariangela e Traversa Corinna Maria.

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