venerdì 25 novembre 2011

SISTEMA DI CRISI (Parte I)

Premessa: sono da sempre convinto che il lettore vada stimolato a cercare notizie, ad informarsi. Ecco perché ogni link che ho inserito a questo articolo non è una semplice nota in fondo alla pagina, una fonte di cui fa bene conoscere l’esistenza e basta. Tutti i link contengono informazioni aggiuntive agli argomenti trattati, leggerli ed approfondire è vostro diritto e vostro dovere.


Mario Monti è il nuovo Presidente del Consiglio, chiamato a risolvere la difficile situazione dell’Italia e a traghettare il Paese fuori dalla crisi. Economista, già Commissario europeo per il Mercato dal 1995 al 1999, e successivamente Commissario europeo per la Concorrenza, presidente della Bocconi ed ex-presidente dell’Istituto Bruegel.
Oltre ad aver lavorato per diverse aziende, è (poco) noto per essere stato international advisor per Goldman Sachs dal 2005.[1]
Ma che cos’è Goldman Sachs? Una delle più importanti banche d’affari del mondo, con affari e proprietà in ogni parte del globo (dal colosso immobiliare tedesco Karstadt alla Associated British Ports, dalla Fondazione Cariplo alle assicurazioni come Bas, Toro e Unim), ma ricoperta di diverse ombre: nel 2010 la Security and Exchange Commission, l’ente del governo americano che vigila sulla borsa, ha messo sotto inchiesta la società per aver truffato i propri clienti, tra i quali c’erano anche grandi istituzioni finanziarie internazionali.[2]
Goldman Sachs è anche accusata di aver causato la crisi in Italia, innescando la vendita dei Btp[3], e pure di essere all’origine della crisi greca, avendo aiutato il governo di Atene a truccare i conti pubblici, arricchendosi parallelamente.[4]
Ma andiamo con ordine: il debito pubblico italiano (la causa principale della fuga degli investitori stranieri dal nostro Paese) nasce durante la cosiddetta Prima Repubblica, ma non se ne parlò con preoccupazione fino agli Anni Ottanta. All’epoca, nonostante la generale diffidenza dell’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi a privatizzare aziende dello Stato per incamerare qualche lira, il governo decise di cedere parte delle proprietà statali italiane a privati. Ad occuparsi di queste cessioni fu l’Iri, gestita nel periodo 1982-1989 da Romano Prodi, ex Ministro dell’Industria del governo Andreotti nel 1978. La sua gestione dell’Iri viene ricordata come una delle più disastrose, emblematica è la vicenda Sme[5]: Prodi tentò di vendere l’azienda energetica alla Buitoni di Carlo De Benedetti (editore di La Repubblica) ad un prezzo notevolmente inferiore a quello effettivo dell’azienda (1.107 lire per azione, invece che 1.275), nonostante ci fossero altre offerte più vantaggiose, causando lo stop delle trattative da parte del governo.
Ombre si erano già paventate al momento della nomina di Prodi all’Iri, nel momento in cui aveva deciso di non abbandonare il suo ruolo dirigenziale per Nomisma, società con la quale, successivamente, firmò diversi contratti di consulenza.[6]
Nel 1992, in piena crisi economica, nelle acque italiane transitava il panfilo della corona inglese Britannia, con a bordo importanti personaggi della finanza internazionale, nonché i dirigenti di banche, tra le quali Goldman Sachs. Furono invitati anche italiani, come l’attuale governatore della Bce Mario Draghi.[7] È risaputo che sul Britannia si sia discusso del futuro dell’Italia, delle privatizzazioni e dell’ingresso nella nuova Unione Europea.[8]
Fatto sta che, poco dopo quella riunione, il grande oppositore delle privatizzazioni Bettino Craxi fu spazzato via insieme a tutto il suo partito dallo scandalo Tangentopoli, lasciando il posto ad un governo tecnico presieduto dall’allora governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi.
Ripartirono, stavolta in pompa magna, le privatizzazioni, a cominciare da quella della Sme, dopo il ritorno di Romano Prodi all’Iri, seguita da quella di Italgel, GS, Autogrill e Cirio-Bertolli-De Rica. Lo smantellamento dell’Iri finì presto sotto gli occhi della magistratura, in particolare per i casi Italgel e, soprattutto, Cirio-Bertolli-De Rica, valore 1.350 miliardi di lire, venduta alla finanziaria FISVI di Francesco Lamiranda, che dovette rivendere pezzi del’azienda per pagarne lo stesso acquisto. La magistratura scoprì, successivamente, che dietro alla FISVI c’era la multinazionale olandese Unilever, per la quale Prodi aveva lavorato come consulente dal 1990 al 1993.[9] Per Prodi si configurò, così, l’accusa di abuso d’ufficio, dalla quale riuscì a salvarsi grazie alla modifica della legge del 1996, ad opera del suo stesso governo.
Poco dopo emerse anche un’inchiesta riguardante delle consulenze che Romano Prodi aveva svolto per General Eletric e Goldman Sachs durante il suo mandato all’Iri, che erano state prontamente ricambiate: a Goldman Sachs, l’Iri affidò la supervisione della privatizzazione di Credit (il valore delle azioni fu fissato a 2.075 ciascuna, contro il valore in borsa di 2.230).
Durante una perquisizione negli uffici milanesi di Goldman Sachs, avvenuta nel 2007 su richiesta della Procura di Bolzano, furono rinvenuti un dossier recante i nomi “Prodi” e “Tononi”, e una lettera inviata nel 1993 dalla sede di Goldman Sachs a Francoforte alla Siemens, a proposito di un buon affare riguardante l’Italtel.[10] Si tratta della cessione, tramite Iri, dell’Italtel alla Siemens, che batté la concorrenza della francese Alcatel, in un giro di tangenti e fondi neri che ha coinvolto le varie aziende protagoniste, tra cui Goldman Sachs. Massimo Tononi, invece, era un altro dipendente Goldman Sachs, poi divenuto sottosegretario all’Economia con Prodi.
Con le privatizzazioni, ad ogni modo, lo Stato italiano incassò i soldi necessari per far rientrare i conti pubblici entro i confini stabiliti dal Trattato di Maastricht, condizione necessaria per entrare nella nascente Unione Europea. Fu una mossa necessaria, si ricorda oggi, o l’Italia sarebbe finita in bancarotta.
Non la pensa così il giornalista del Daily Telegraph Ambrose Evans-Pritchard, che in un suo recente articolo ha evidenziato come la situazione economica italiana pre-Ue fosse più che stabile[11]: considerando anche il debito privato (ovvero il debito detenuto dalle famiglie italiane), l’Italia si sarebbe trovata sul tetto d’Europa, accanto alla Germania.

 Valerio Moggia


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