sabato 31 marzo 2012

Verso Euro 2012: Inghilterra

Storia

Dici Inghilterra e intendi la nazionale calcistica più antica del mondo insieme alla Scozia, il campionato più antico del mondo (la Premier league), la coppa nazionale più antica del mondo (la F.A. Cup), e club gloriosi come l'Arsenal, il Liverpool, il Manchester United, il Chelsea, il Manchester City per indicare i più importanti ai giorni nostri, ma anche l' AstonVilla, il Notthingam Forrest, il Birmingham e il West Ham che hanno contribuito a fare la storia calcistica inglese.
Nonostante le squadre di club siano particolarmente blasonate e abbiano da sempre dominato la scena europea ed internazionale, la nazionale non vanta grandi vittorie né in campo europeo (non ha mai vinto il torneo continentale), né in quello mondiale (solo una coppa del mondo, peraltro discussa, nel torneo disputato in casa nel 1966).
Ma andiamo con ordine: la nazionale inglese esordì il 30 novembre 1872 a Glasgow contro la Scozia, nella prima partita internazionale registrata dagli annali del calcio, che terminò 0-0.
Dopo aver partecipato alle Olimpiadi del 1908 e 1912, l'Inghilterra sparì dai radar del calcio internazionale a causa di divergenze con i francesi, in modo particolare Jules Rimet (inventore della coppa del mondo), non partecipando così alle prime tre edizioni dei mondiali. Il battesimo degli inglesi alla Coppa Rimet si ebbe nell'edizione brasiliana del 1950: la nazionale dei tre leoni fu eliminata al primo turno, come nel 1958 mentre raggiunse solo i quarti nel 1954 e 1962.
L'unica grande vittoria inglese fu nel 1966 nei mondiali di casa con uno squadrone con campioni come Bobby Charlton e Gordon Banks, guidati da un grandissimo maestro della tattica, Alf Ramsey. La finale con la Germania Ovest fu spettacolare: i tempi regolamentari si conclusero 2-2 con un gol al novantesimo forse viziato da un fallo di mano dei tedeschi; nei supplementari si consumò uno dei più grandi gialli della storia del calcio: Hurst con un grandissimo tiro da fuori area prese la traversa poi la palla rimbalzò sulla linea, senza che la superasse totalmente. Quel giorno nacque il Gol fantasma, termine usato tutt'oggi per indicare i gol-non gol che difficilmente trovano segnalazione corretta.
Non partecipante ad euro '60 ed euro '64, il primo europeo giocato dalla nazionale dei tre leoni risale al 1968: eliminata in semifinale dalla Jugoslavia, vinse la finalina del terzo posto, ancora oggi il massimo obiettivo raggiunto dagli inglesi nella manifestazione continentale.
Con il 1970 iniziò forse il decennio più buio della storia calcistica britannica: non qualificata agli europei nel 1972 e nel 1976, eliminata al primo turno ai mondiali del '74 e non qualificata a quelli del '78. Anche gli anni '80 non raccontano di grandi traguardi raggiunti né in campo europeo (nuovamente non qualificata nell'84 e solo primo turno nell'80 e nell'88), né in campo mondiale (ottavi nel 1982 e quarti nel 1986).
Il leggero risveglio avuto negli anni '90, fu coronato dal quarto posto del mondiale delle notti magiche e dalle semifinali raggiunte nel 1996 nel torneo europeo disputato in casa, dove gli inglesi furono eliminati dai tedeschi, futuri vincitori del torneo.
Dal 1996 ad oggi veramente poca roba, mai superati i quarti in nessuno dei due tornei e addirittura la clamorosa non qualificazione ad euro 2008, nonostante grandissimi risultati degli inglesi a livello di club: due champions league vinte dal Manchester United (1999 e 2008), una vinta dal Liverpool (2005) e altre cinque finali perse (Arsenal 2006, Liverpool 2007, Chelsea 2008, Manchester United 2009 e 2011).

Il cammino verso euro 2012

L'Inghilterra inserita nel girone G con Bulgaria, Svizzera, Montenegro e Galles, non ha avuto particolari difficoltà a chiudere il gruppo come prima con 18 punti, imbattuta. Cinque vittorie: due volte con la Bulgaria (4-0 e 3-0) due con il Galles (2-0 e 1-0) e una con la Svizzera (3-0) e tre pareggi di cui uno con la Svizzera (2-2) e due con il Montenegro (0-0 e 2-2). Montenegro giunto poi al secondo posto del gruppo.
Nelle fasi di qualificazione il maggior trascinatore è stato indubbiamente Wayne Rooney: il talentuoso attaccante ha però commesso un’ingenuità nell’ultima partita contro il Montenegro, facendosi espellere a 20 minuti dalla fine, a qualificazione già ottenuta: per questo motivo dovrà saltare le prime due partite della fase eliminatoria.
A mio parere la nazionale dei tre leoni è una delle favorite del torneo, con giocatori di grande esperienza internazionale quali John Terry, Frank Lampard, Steven Gerrard e Wayne Rooney, abbinati a giovani talentuosi come Theo Walcott, Jack Wilshere e Joe Hart: il problema, quando si tratta della nazionale inglese è capire se riuscirà a tenere botta nei momenti decisivi del torneo, per riuscire ad arricchire un Palmarès, francamente poco ricco per un Paese che vanta di essere l'inventore del gioco del calcio.

Partite dell’Inghilterra agli Europei

euro 60: SF. Jugoslavia-Inghilterra 1-0
Finale terzo posto Inghilterra-Russia 2-0

euro 80: I gir. Belgio-Inghilterra 1-1
II gir. Italia-Inghilterra 1-0
III gir. Spagna-Inghilterra 1-2

euro 88: I gir. Irlanda-Inghilterra 1-0
II gir. Inghilterra-Olanda 1-3
III gir. Inghilterra-URSS 1-3

euro 92: I gir. Danimarca-Inghilterra 0-0
II gir. Francia-Inghilterra 0-0
III gir. Svezia-Inghilterra 2-1

euro 96: I gir. Inghilterra-Svizzera 1-1
II gir. Scozia-Inghilterra 0-2
III gir. Olanda-Inghilterra 1-4
QF. Spagna-Inghilterra 0-0dts (2-4 rig)
SF. Germania-Inghilterra 1-1dts (6-5 rig)

euro 2000: I gir. Portogallo-Inghilterra 3-2
II gir. Inghilterra-Germania 1-0
III gir. Romania-Inghilterra 3-2

euro 2004: I gir. Francia-Inghilterra 2-1
II gir. Inghilterra-Svizzera 3-0
III gir. Croazia-Inghilterra 2-4
QF. Portogallo-Inghilterra 2-2dts (6-5rig)

>>FEDE

mercoledì 28 marzo 2012

STAY TUNED! COLORI aD(a)OLIO

Premessa
Questo articolo, diversamente dal precedente, non vuole fornire una serie di informazioni sul cantante in questione, ma aspira ad essere un tentativo di ricostruire in modo del tutto personale le caratteristiche ritenute salienti della sua opera di musicista, pittore, uomo. È un esperimento e in quanto tale sarà pieno di difetti e noncuranze. Nella speranza che vogliate assecondare la mia buona volontà, vi auguro buona lettura.


Chiazze





Cavalli si drizzano da tronchi d’albero chiedendo libertà legati
alla natura solida di radici che affondano verso
un incerto dirupo pendente


Mani di corteccia stringono terra e cielo. Incontro di
culture che mettono in comune e
diverse si ritrovano mani
che si librano e
ritornano verso la Madre.


Feto di notte di luna calante cullato dalla fredda alma calma di mare


Questo può essere ancora Augusto Daolio, novello a Novellara il 18 febbraio 1947, notte di lotta di gelo e brina con la Madre, forse scomparso da questo mondo il 7 ottobre 1992, ma non da quello dell’arte dei sensi, resi suoni parlati e sensati, intonati con un timbro bramoso di esprimere e spremersi in canti di mercanti e di servi, di figli di fiori frenati da infernali film futuristici, di morti di miti mutati col mondo, di amori morenti che maturano di nuovo.




Sono i suoi quadri e le sue canzoni, portate al successo con la collaborazione di grandi autori e del complesso cui Augusto apparteneva, i NOMADI, a parlarmi di lui ancora adesso, mentre un voi non indentificato né quantificato forse si annoia o forse si incuriosisce tentando di leggerne una storia, una delle tante che tanti hanno tentato di tracciare.


Io non so niente di Augusto Daolio, ma ho sentito più volte una voce “intonata e strana” emanare forti vibrazioni dallo stereo di camera mia mentre un compact disc dal titolo “D’amore e d’altre storie” grattava con furia silenziosa. Non potevo certo rimanere indifferente a tanto talento, per cui mi sono informata e ho scoperto da fonti inattendibili che era un ragazzo insofferente alle regole e allo studio scolastico ma affamato di cultura, di arte, di pittura e di musica, coltivate in una cittadina emiliana dove imparò “che film” è “la vita” e il desiderio di fuga verso altri mondi si impadronì di lui.

Con certezza Augusto cantava che il nostro, di mondo, continuerà a esistere, anche senza di noi, anche senza di lui: “Il vento d’estate che viene dal mare / intonerà un canto tra mille rovine / tra le macerie delle città / tra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà / Tra macchine e strade / risorgerà il mondo nuovo / ma NOI NON CI SAREMO”.

Allora cosa si può fare per lasciare un segno anche “per quando noi non ci saremo”? Scripta manent, Augusto lo sa bene. Ma se non ha voglia di scrivere Augusto disegna rami, cortecce, lune, uomini, cavalli, e se non ha voglia di disegnare, di “vuotare un pieno” che è dentro di lui “e preme”, allora viaggia per questo mondo così fragile e potente, risorsa inestimabile, ricchezza di umanità, uomini e no.


Ogni viaggio è mani, occhi, sorrisi, abbracci, baci, lacrime, che purtroppo piangeranno il 7 ottobre 1992, quando Augusto dovette lasciare tutto questo portato via da una malattia incurabile a soli 45 anni.


Ma la cura è il blu su cartone telato che apre a nuova vita i suoi fiori, senza farli appassire, senza farli morire. Perché c’è un mondo dove la morte fisica non ostacola, dove la presenza di Augusto si fa ancora sentire, un mondo fatto di terra, erba, aria, rami, cortecce, radici, occhi, orecchie, mani.


Ognuno di noi “è responsabile della bellezza e della bruttezza” di questo mondo, da cui Augusto tentava di fuggire ma a cui è rimasto per sempre vincolato. Renderlo il più bello possibile anche “per quando noi non ci saremo”, come ha fatto, a suo modo, il santone di Novellara, piccolo e grande, giusto e sbagliato, sano e malato, pittore e cantante, politico e commerciale.

Lui ha già visto quella “sfera di fuoco più grande del sole, più vasta del mondo”, paradiso dantesco di luce e colori. Anche ad olio.



Roby <^>

Per vedere i quadri descritti dai versi: 1.http://www.augustoperlavita.it/quadri/Quadro17.jpg

2.http://www.augustoperlavita.it/quadri/Quadro20.jpg

3. http://www.augustoperlavita.it/quadri/Quadro04.jpg

NOI NON CI SAREMO
http://www.youtube.com/watch?v=9RC7Yx08s5Q

domenica 25 marzo 2012

IL POSTO DE'VERGOGNOSI: ANALISI DEL CAPITOLO XVI DEI PROMESSI SPOSI- Parte III

FIGURINE INCONTRATE PER VIA- Parte II

«Quel grassotto, che stava ritto sulla soglia della sua bottega, a gambe larghe, con le mani di
dietro, colla pancia in fuori, col mento in aria, dal quale pendeva una gran pappagorgia», un
profilo ben poco dignitoso, in cui risalta, però, l’importantissima gestualità del corpo: il
portamento è gonfio, spavaldo, l’uomo ondeggia sulla punta dei piedi e sui talloni sollevando
la sua mole; Renzo non potrà fidarsi di costui, sfaccendato e senza dubbio più curioso e
impiccione che disponibile all’aiuto.
«Quell’altro che veniva innanzi, con gli occhi fissi, e col labbro in fuori», altra raffigurazione
tutt’altro che gloriosa: abbiamo di fronte un totale ebete che nemmeno a se stesso saprebbe
insegnare la strada.
«Quel ragazzotto, che, a dire il vero, mostrava d’esser molto sveglio, mostrava però d’essere
anche più malizioso», avrebbe di che divertirsi con il nostro fuggiasco, segnalandogli la via
opposta a quella richiesta.
Se vogliamo, è quella che comunemente viene chiamata la fiera del luogo comune. Troppi
sono i pregiudizi da scardinare per potersi permettere di dire che l’abito non fa il monaco. In
questo caso lo fa eccome, di fronte a fotografie del genere l’impressione che abbiamo è
esattamente quella che Renzo coglie e che l’autore vuole comunicarci.

Per una strana proprietà associativa, l’ultima figurina al vaglio passa l’esame: un omino che
cammina in tutta fretta e che parla per conto proprio. Se nulla si può obbiettare
all’intuizione «avendo probabilmente qualche affare pressante, gli risponderebbe subito»,
non altrettanto si può dire di «sentendolo parlare da sé, giudicò che dovesse essere un
uomo sincero». Nell’immaginario comune chi parla da solo o sta pregando, oppure non ha
tutte le rotelle a posto. Il commento di Angelo Stella all’edizione de I Promessi Sposi riporta
alcune posizioni a favore di questa strampalata quanto geniale intuizione di Renzo; una in
particolare, di Bellezza, mi appare convincente: «Renzo torna a casa ripetendo sempre
quelle strane parole»6. Anche Renzo, come il passante, è solito parlare tra sé. Non dovrà
dunque stupire che fra i due ci sia sintonia, né tanto meno che lui si fidi al primo colpo
d’occhio.

«Nei Promessi Sposi la gestualità è ritratta in modo […] preciso, attraverso movimenti che si
bloccano nella fissità animata di un vivente ritratto […]». Sul ritratto manzoniano molti
critici si sono fermati, ma solo di scorcio; altri hanno preferito affermare che il Manzoni fosse
per lo più disinteressato al ritratto. Il Raimondi, ad esempio, ha piuttosto studiato le possibili
controfigure storiche o letterarie di alcuni personaggi del racconto (ne Il romanzo senza
idillio, capitolo Il personaggio in cornice, p.223‐247). Partendo da questi precedenti, il
Salsano ha affrontato una indagine nell’universo della gestualità manzoniana molto
significativa: si è soffermato su alcune pose che assumono rilevante valore nel loro
collocamento. Alcune delle sue riflessioni sono particolarmente illuminanti sulla revisione
messa in atto dall’autore dal Fermo e Lucia ai definitivi Promessi Sposi:

Il Manzoni è un ritrattista felicissimo del volto e dello sguardo, con, talvolta, allargamenti agli «atti»
[…]. Volto o atteggiamento […] costituiscono il binomio fondamentale di un «montaggio» che nel
Fermo non ha luogo o risulta in modo più scialbo o indiretto.
Tuttavia, il critico ha indagato personaggi principali, ritratti e gesti molto significativi (la
bocca aperta, l’espressione degli occhi, il movimento delle mani e delle dita), tralasciando in
buona parte figurine di secondo piano come queste del XVI capitolo che invece affollano la
selva di anonimi personaggi così perfettamente resi dall’autore in un solo gesto o in una
singola espressione.

Abbiamo detto che Renzo si è scaltrito, e anche l’accortezza, sebbene approssimativa, di
scegliere un affidabile informatore è indizio di accresciuta prudenza. Fin qui tutto bene se
non fosse che, nelle ultime righe di questa seconda sequenza, ancora una volta il
personaggio tradisce la sua ingenuità. Ricevute le informazioni necessarie, risponde: «Basta
signore, il resto lo so. Dio gliene renda merito». Se non voleva destare sospetti, quest’ultimo
inciso non ha certo giovato all’intento. Difatti il frettoloso, allontanatosi un poco, si volta e
tra sé: «‐ o n’ha fatta una, o qualcheduno la vuol fare a lui ‐».
L’autore non esita a far riemergere l’incoscienza del personaggio che di lì a poco si trova in
piazza del Duomo, di fronte al convento di cappuccini nel quale l’avrebbe accolto padre
Bonaventura su raccomandazione di fra’ Cristoforo. Quale luogo più sicuro per chiedere
asilo? La tentazione è forte ma Renzo prosegue per la sua strada, con un narratore che con
sottilissima ironia, in sottofondo, commenta: «Ma, subito riprese animo, pensò: ‐uccel di
bosco, fin che si può». Togliere l’aria aperta a Renzo è come privarlo della libertà: affronta
quindi il rischio del cammino e prosegue nel suo vagabondare verso il bergamasco.
Se fra’ Cristoforo per Lucia non poteva trovare sistemazione migliore del convento di Monza,
con Renzo il religioso aveva proprio sbagliato i suoi conti. Manzoni non avrebbe potuto
scegliere due anime più lontane da congiungere in matrimonio.
L’uscita da Milano è dilatata dal narratore che, dispettoso, la fa patire per bene a Renzo: un
gruppo di gabellini e micheletti (soldati spagnoli) lo aspettano al varco. In effetti loro sono
più impegnati a controllare che nessuno dalle zone limitrofe, venuto a conoscenza del
baccano fatto per il pane, entri in città. Renzo, però, ha di che preoccuparsi, con gli sbirri alle
calcagna: la porta è a un passo, la sua aria è indifferente come quella di uno spensierato
passante, ma dentro al suo cuore la tensione esplode e si stempererà solo a qualche
chilometro di distanza.

Elisa Carati

mercoledì 21 marzo 2012

Verso Euro 2012: Grecia

Storia


La nazionale greca gioca la sua prima partita ufficiosa il 28 agosto 1920 ad Anversa contro la Svezia perdendo 9-0. Il debutto ufficiale risale però a nove anni più tardi: il 7 aprile 1929 ad Atene giocò contro l'Italia perdendo 4-1. La Grecia durante il XX secolo non ha mai raggiunto traguardi importanti, tuttavia riuscì a partecipare agli europei 1980 in Italia. Questa prima apparizione non riserva grosse soddisfazioni, la squadra viene eliminata al primo turno e la cosa non può sorprendere in quanto come avversarie del girone aveva i campioni e i vicecampioni di Euro '76, rispettivamente Cecoslovacchia e Germania Ovest, e i vicecampioni del mondo in carica: l'Olanda. L'esordio non fu dei peggiori: persero 1-0 contro l'Olanda che segnò l'unica rete dell'incontro grazie ad un rigore al 65° minuti. Nella seconda partita giocata contro i campioni d'Europa della Cecoslovacchia il passivo fu più pesante: un 3-1 che eliminò i Greci dalla competizione.

Nonostante l'eliminazione, la nazionale greca si tolse la soddisfazione di fare 1 punto pareggiando 0-0 con la Germania Ovest nella terza e ultima partita; quello sarà tra l'altro l'unico incontro dell'europeo che i tedeschi non riuscirono a vincere. L'unico gol della Grecia nell'Europeo italiano fu segnato da Anastopoulos che in Italia questo calciatore è famoso per altri motivi: nell'estate 1987 fu ingaggiato dall'Avellino e presentato dalla stampa addirittura come “Sceso dall'Olimpo”. Purtroppo per gli irpini le prestazioni disattesero le presentazioni: collezionò 19 presenze e 0 gol entrando di diritto nel novero dei bidoni che, a partire dagli anni '80, hanno calcato i campi da gioco della serie A. Con la nazionale però il fiuto del gol era decisamente migliore: con 29 reti è il marcatore più prolifero della storia della nazionale ellenica.
Nel 1994 la Grecia riuscì ad esordire ai mondiali USA dove però fece un disastro: 0 vittorie, 0 gol fatti e 10 subiti. Nulla lasciava presagire ciò che sarebbe accaduto 10 anni più tardi.12 giugno 2004, Portogallo: a Oporto si giocava la partita inaugurale dell'Europeo tra i padroni di casa e la Grecia. I portoghesi si aspettavano una vittoria facile contro gli inesperti greci. Gli ellenici però erano arrivati in Portogallo vincendo il proprio girone di qualificazione davanti alle più quotate Spagna e Ucraina. Che fossero una squadra insidiosa lo dimostrarono presto: dopo appena 7 minuti un gol di Karagounis zittì il “Do Dragao” e alla ripresa un rigore lanciò gli ospiti sul 2-0. Un gol al 90° di un giovane Cristiano Ronaldo accorciò il passivo ma non evitò la sconfitta. Nella seconda partita i Greci riuscirono a pareggiare contro la Spagna, rimandando la qualificazione alla terza e ultima partita. La Grecia giocava con la Russia che giocava solo per l'orgolglio in quanto già eliminata dal torneo. La Russia vinse 2-1 ma grazie alla vittoria sulla Spagna del Portogallo gli ellenici si qualificarono grazie al maggior numero di gol segnati rispetto alla Rocha. La favola greca stava prendendo forma, ma ora cominciavano le difficoltà maggiori: gli scontri diretti non ammettevano scivoloni. Il primo avversario furono i francesi campioni d'europa in carica. Un colpo di testa di Charisteas al 65° regalò il vantaggio ai greci, che poi controllano il risultato ed eliminano la Francia, accedendo per la prima volta nella storia alle semifinali. Ormai la cenerentola si era trasformata in principessa: bisognava vedere se e quando la mezzanotte sarebbe arrivata. La semifinale fu giocata il 1° luglio a Oporto: avversaria della Grecia era la Repubblica Ceca di Nedved una delle favorite del torneo. I tempi regolamentari furono abbastanza noiosi e si conclusero sullo 0-0. Anche il primo tempo supplementare regalò poche emozioni fino all'ultimo minuto: Traianos Dellas segnò in seguito ad un calcio d'angolo. Il primo tempò supplementare finì lì e grazie alla regola del silver gol non ci fu bisogno di un secondo tempo: la Grecia era arrivata in finale, dove avrebbe affrontato i padroni di casa, già sconfitti all'esordio.
Il 4 luglio a Lisbona si disputò la finalissima: il Portogallo era deciso a non sottovalutare l'avversario e la Grecia ormai era convinta dei propri mezzi e i giocatori si erano resi conto che il sogno era possibile. Al dodicesimo del secondo tempo Charisteas segnò l'1-0 e da quel momento i greci si chiusero in difesa per salvare il risultato. Col passare dei minuti il muro greco non cedeva, e sui portoghesi aumentavano le pressioni e diminuiva la lucidità. Nonostante la naturale paura della beffa negli ultimi minuti gli ellenici resistettero e dopo 5 minuti di recupero l'arbitro Markus Merk emise il triplice fischio: la Grecia era campione d'Europa. Non ci fu mezzanotte per quella Cenerentola. Nonostante il trionfo portoghese però i Greci non si imposero come nuova potenza calcistica: fallirono la qualificazione ai mondiali tedeschi del 2006; centrarono invece quella agli europei 2008 e ai mondiali 2010 ma in entrambe le occasioni finirono l'avventura al primo turno. In Austria e Svizzera persero addirittura tutte e tre le partite. Non sono molti i giocatori greci degni di fama tra i quali però troviamo Anastopoulos, Karagounis, Zagorakis e Dellas che hanno giocato in Italia con Avellino; Inter; Bologna; Perugia e Roma. Altri giocatori importanti sono ovviamente il match winner della finale di Lisbona Charisteas, il portiere Nikopolidis che proprio in Portogallo mantenne inviolata la propria porta per 343 minuti, dal 17° di Russia-Grecia fino alla fine del torneo. Inoltre sono da ricordare Katsouranis e Basinas.

Il cammino verso Euro 2012


La Grecia era inserita nel gruppo F insieme a Croazia, Georgia, Israele, Lettonia e Malta. Con 7 vittorie e 3 pareggi si è imposta nel girone senza subire sconfitte. Le vittorie sono state tutte di misura eccetto un 3-1 contro Malta e un 2-0 contro Croazia entrambi in casa. Da segnalare che la vittoria esterna in Georgia dell'11 ottobre 2011 è stata la numero 100 della nazionale greca alle qualificazioni per gli europei. Durante tutto il girone il CT Santos ha utilizzato 32 giocatori tra i quali ci sono stati ben nove esordienti. Il CT porteghese punta quindi al mix tra esperienza e gioventù che finora ha portato numerose soddisfazione. Altro dato interessante : Giannis Fetfatzidis, Kyriakos Papadopoulos, Vassilis Torossidis con 2 reti segnate sono stati i capocannoniere in queste qualificazioni e oltre a loro 8 giocatori sono andati a bersaglio per una volta soltanto. Nel complesso dunque 14 gol per 11 marcatori. Tutti questi dati fanno intendere che la Grecia si basa sul collettivo per sopperire alla mancanza di un fuoriclasse. L'espertissimo Karagounis è stato il faro di queste qualificazioni giocando tutti e 10 gli incontri dall'inizio alla fine. A fargli compagnia il trentunenne Dimitris Salpingidis che ha giocato tutte le partite ma non sempre dall'inizio. Katsouranis, Samaras, Papastathopoulos, Papadopoulos, Torossidis e Ninas sono gli altri giocatori che hanno giocato 7 o più partite. Un po' di gloria in queste qualificazioni l'ha avuta Charisteas che ha segnato una rete nell'unica sua presenza.

Inserita nel gruppo A dei prossimi europei, la Grecia se la dovrà vedere con Polonia, Russia e Repubblica Ceca. Il girone è incerto poichè, se si eccettua la Repubblica Ceca che sulla carta è più forte(ma a mio parere non tanto da poter stare tranquilla), le altre tre squadre hanno livelli simili e in più la Polonia ha il non trascurabile fattore casa: proprio la gara inaugurale sarà contro i padroni di casa e questo comporta bei ricordi nei greci, ma la scaramanzia nel calcio non sempre conta e quest'anno non credo che la Grecia possa aspirare ai quarti di finale.

Partite della Grecia agli Europei


Euro '80: I gir. Grecia-Olanda 0-1


II gir. Grecia-Cecoslovacchia 1-3


III gir. Grecia-Germania 0-0


Euro '04: I gir. Grecia-Portogallo 2-1

II gir. Grecia-Spagna 1-1

III gir. Grecia-Russia 1-2

QF. Grecia-Francia 1-0

SF. Grecia-Rep. Ceca 1-0

F. Grecia-Portogallo 1-0

domenica 18 marzo 2012

THE ICEMAN'S WAY

Universalmente riconosciuto come uno dei migliori piloti della Formula 1 del nuovo millennio, Kimi Raikkonen, nato ad Espoo il 17 ottobre 1979, ha una storia da enfant prodige nell'ambito automobilistico: mosse i primi passi nel kart, a vent'anni approdò nel campionato britannico di Formula Renault, con il team Manor. L'anno successivo conquistò il titolo grazie a 7 vittorie su 10 gare, 7 pole e 6 giri veloci.
Nello stesso anno, gareggiò anche nella Formula Renault internazionale, dove catturò l'attenzione di Peter Sauber, titolare dell'omonima scuderia, che decise di farlo debuttare nel 2001 in Formula 1, dopo una serie di test esaltanti, in cui i tempi sul giro del finlandese furono a dir poco eccellenti: per la prima volta nella storia esordiva in Formula 1 un pilota che aveva disputato sino a quel momento solo 23 gare, nessuna delle quali in formule propedeutiche, quali la Formula 3 o Formula 3000.
Il debutto in Formula 1 risale al Gran Premio di Australia del 2001 e fu un debutto strepitoso: il pilota finlandese guidò con una superlicenza, una sorta di contratto a breve termine, con la quale aveva la possibilità di correre per sei mesi con la Sauber-Petronas. Kimi concluse il GP australiano al sesto posto, conquistando, con una macchina non certamente appartenente ai top team, il suo primo punto mondiale. Il contratto gli fu prolungato per tutta la stagione e Raikkonen ripagò la fiducia con 9 punti complessivi (ricordiamoci che all'epoca il primo prendeva 10 punti, il secondo 6, il terzo 4, il quarto 3, il quinto 2 e il sesto 1), concludendo decimo nella classifica iridata.
Data la sua ottima stagione come debuttante, quella volpe di Ron Dennis lo volle alla McLaren per sostituire il connazionale Mika Hakkinen, ritiratosi nel 2001 dopo una carriera straordinaria coronata da 21 successi e due titoli mondiali (1998 e 1999).
Al debutto con la nuova scuderia, colse il primo podio della carriera giungendo 3º nel GP d'Australia, ed ottenendo il giro più veloce. Nel Gran Premio di Francia a Magny-Cours sfiorò la prima vittoria ma, a pochi giri dalla fine, scivolò su una macchia d'olio non segnalata: primo episodio sfortunato di una carriera che di sfortuna ne ha conosciuta parecchia. Nonostante ottime prestazioni, Kimi accumulò solo 24 punti a causa di 11 ritiri dovuti a guasti tecnici della vettura, dimostrando di essere più veloce del compagno David Coulthard nella maggior parte delle occasioni.
Il 2003 per Räikkönen fu estremamente positivo: pur disponendo della vettura dell'anno precedente leggermente modificata, (la MP4/18 non gareggiò mai) si giocò la vittoria del mondiale sino all'ultima gara. Dopo un terzo posto iniziale ottenuto nel Gran Premio d'Australia, in Malesia arrivò la prima vittoria in carriera. Nel Gran Premio del Brasile venne dato per vincitore ma nei giorni successivi la vittoria fu assegnata a Giancarlo Fisichella per un errore dei commissari: una vittoria, un secondo e un terzo posto, un inizio di campionato a dir poco entusiasmante.
La stagione continuò con buoni risultati, ma la vittoria in Malesia non fu bissata. Nel frattempo Schumacher e Montoya a suon di vittorie si contendevano il titolo. Grazie ai numerosi podi conquistati, Raikkonen rimase aggrappato alla lotta per il titolo mondiale fino all'ultimo gran premio. Alla fine della stagione si classificò 2º con 91 punti complessivi, solamente due in meno del pluricampione tedesco e davanti al colombiano, arrivando secondo (dietro a Barrichello) nell'ultima gara della stagione.
Il 2004 fu un anno difficile, dove Kimi conquistò un solo GP (quello del Belgio) e pochissimi podi ma l'anno successivo dopo un inizio in salita, dimostrò di poter lottare per il mondiale con il rivale Fernando Alonso. Il finlandese, nonostante un forte ritardo dalla vetta del mondiale dopo le prime quattro gare, riuscì a ridurre il distacco con due vittorie consecutive in Spagna e a Monaco, ed altre quattro in Canada, Ungheria, Turchia (nella prima edizione del GP) e Belgio (riconfermando la vittoria del 2004) . Nel Gran Premio d'Europa fu però vittima di un cedimento alla sospensione quando era leader della gara ed avrebbe potuto compiere il sorpasso su Alonso; il finlandese fu spesso colpito da rotture al propulsore ed è stato più volte costretto a rimontare, riuscendo comunque a portarsi per ben 7 volte sul primo gradino del podio. La stagione si concluse poi con una esaltante vittoria in ,Giappone ottenuta a seguito di una delle più belle gare della sua carriera. Partendo 17º in griglia, si rese subito protagonista di una serie di straordinari sorpassi, anche ai danni di sua maestà Michael Schumacher e del già laureato campione del mondo Fernando Alonso. Riuscì a portarsi alle spalle di Giancarlo Fisichella e a 5 giri dalla fine e completò la sua rimonta compiendo un bellissimo sorpasso all'esterno della prima curva, a danni del romano.
In questa stagione su 19 gare ha ottenuto ben 10 giri veloci in gara, record assoluto detenuto a pari merito con Michael Schumacher.
Nel 2006 la mancanza di affidabilità e di competitività della McLaren lo esclusero subito dalla lotta per il titolo mondiale: Kimi non riuscì a vincere nessun Gran Premio, conquistando ugualmente 65 punti e 3 pole position.
Il 2007 è l'anno del pilota finlandese: passato alla Ferrari per sostituire Schumacher, Kimi non delude le aspettative, nonostante una stagione non certo facile; la vittoria finale del titolo arriva infatti dopo una rimonta straordinaria. La pole, il giro veloce e la vittoria conquistate al debutto con il Cavallino, lo pongono accanto a delle leggende della scuderia di Maranello come Fangio e Mansell, unici prima di Kimi a conquistare l' hart-trick al primo GP della stagione con la Rossa. Le successive gare furono travagliate sia per errori del pilota sia per la scarsa affidabilità della Ferrari; solo con l'estate Raikkonen riuscì a conquistare due vittorie in Francia e Gran Bretagna che lo rilanciarono in ottica iridata, nonostante avesse accumulato uno svantaggio importante.
Dopo la vittoria in Belgio e il terzo posto in Giappone, a due gare dalla fine i punti da recuperare erano 17 su 20 disponibili; ciò che accadde nelle ultime due gare ha dell'incredibile: due vittorie di Kimi, con un ritiro e un settimo posto di Hamilton, e due terzi posti di Alonso (anche lui coinvolto nella lotta mondiale), portarono Iceman a vincere il campionato. Prima dell'ultima gara ironicamente si diceva che per vincere il mondiale Raikkonen avrebbe dovuto vincere il GP e nel contempo un meteorite sarebbe dovuto cadere nel box McLaren: a quanto pare il miracolo è accaduto...
Le ultime stagioni in Formula 1 del pilota finlandese non furono esaltanti: in due anni riuscì ad ottenere solo tre vittorie e otto podi. Da sottolineare le vittoria sul circuito di Spa, suo tracciato per eccellenza, nell'agosto del 2009, che lo proclamò “The King of Spa” essendo il pilota ad aver vinto più GP in Belgio (ben quattro).
Il 29 novembre 2011 dopo due anni lontano dal circus, viene ufficializzato il suo ritorno in Formula 1 alla guida della Lotus, per cui firma un contratto biennale a partire dalla stagione 2012. Il 24 gennaio 2012 è tornato in pista ufficialmente nei test di Jerez.

DICONO DI LUI
“Quando vedi Kimi in azione hai la percezione di quanto bravo sia. Ci sono tanti aspetti da prendere in considerazione in Formula 1 per valutare un campione, non ci si deve limitare a fare un giro veloce”. Questa l'opinione del responsabile delle attività in pista del team Lotus Permane.
Una bella provocazione nei confronti del pilota Lotus GP arriva da arriva da un ex pilota Gerhard Berger. : "E’ un gran personaggio ma per tornare competitivo deve ridurre la vodka!” Secondo Berger, il pilota finlandese avrebbe avuto negli ultimi tempi un approccio un po’ troppo allegro alla professione di pilota. D'altronde Kimi è così, amante della bella vita, ma ciò non toglie nulla al suo immenso talento, coronato da una dose di freddezza fuori dal comune, che gli ha valso il soprannome di Iceman.
Sentite cosa dice invece Damon Hill. campione del mondo 1996, ad Autosport: “Kimi è un grande. Ha già vinto un titolo mondiale ed ha la possibilità di puntare a vincere anche altri due. Quando si presenterà ai nastri di partenza della stagione 2012, il biondo di Espoo avrà 33 anni. Non crediamo che voglia invecchiare troppo in Formula 1. Tuttavia, qualora lo desiderasse, potrà disputare almeno altre 4-5 stagioni a grande livello. Se la Lotus lo asseconderà, sarebbe folle sottovalutarlo per il medio periodo”.
Allora in bocca al lupo Iceman!

>>FEDE

giovedì 15 marzo 2012

IL POSTO DE' VERGOGNOSI: ANALISI DEL CAPITOLO XVI DEI PROMESSI SPOSI- Parte II

LA FUGA - PARTE II

Il dettaglio del pianto di Lucia ci serve a inquadrare un ulteriore problema che si affaccia proprio nel capitolo in analisi. In questa fase del romanzo non abbiamo ancora capito se Renzo sia da considerare un personaggio problematico e ben strutturato psicologicamente (come Lucia): l’irruenza e la scarsa riflessione sugli eventi che gli si sono rovesciati addosso lo avvicinano quasi a un Don Abbondio, il quale agisce sempre e solo in funzione del suo interesse, piatto, che non accenna ad evolvere. Tuttavia nel XVI capitolo qualcosa per Renzo cambia. È, se vogliamo, il primo momento in cui la parabola evolutiva del personaggio comincia a compiersi. Sebbene, infatti, segnali del suo carattere che non intende cambiare continuino a essere inviati al lettore («‐ Perché, se posso essere uccel di bosco, ‐ aveva anche pensato, ‐ non voglio diventare uccel di gabbia ‐» e ancora, più avanti, di fronte al convento di cappuccini: «‐ uccel di bosco fin che si può ‐»), altri inequivocabili arrivano all’occhio attento del buon osservatore:

"Ma siccome nel poco tempo che aveva avuto per meditare su’ casi suoi, gli erano passate per la mente certe idee su quello spadaio così obbligante, padre di quattro figliuoli, così, a buon conto, non volle manifestare i suoi disegni a una gran brigata, dove ce ne poteva essere qualche altro di quel conio. "

Soprattutto spicca il verbo risolvette: il giovane sta imparando dai suoi sbagli, la mente rielabora velocemente, ma con criterio, sui fatti che gli sono capitati. È il caso di dire che si sta facendo furbo in un mondo di furbi.

Un ultimo interessante dettaglio da analizzare è l’uso insistito di deittici: «andar là», «allontanarsi in fretta di lì», sintomatici dello spazio indefinito in cui Renzo si muove, disorientato.


CAPITOLO II

FIGURINE INCONTRATE PER VIA

Così a casaccio Renzo non può andare molto lontano. Occorre l’aiuto di qualcuno che gli indichi la via da seguire per uscire da Milano e raggiungere il cugino Bartolo a Bergamo.
Ora, gli sbirri lo stanno cercando, sulla sua testa pende una taglia e le notizie, si sa, volano in fretta. La domanda da porre è oltretutto di per sé alquanto scomoda: Bergamo si trova oltre i confini della giurisdizione lombarda e in giorni tumultuosi come quelli non è proprio insospettabile chi tenti di raggiungerla.

Il povero Renzo è allora costretto a «fare forse dieci giudizi fisionomici» per capire dall’aspetto il carattere dei passanti ai quali poter cavare un’informazione. Manzoni in poche righe ci dimostra la sua grandiosa abilità descrittiva con la quale sa costruire con precisione infallibile personaggi assolutamente secondari quanto assolutamente funzionali.

Quattro sono i malcapitati: il grassotto, lo scemo, il ragazzotto malizioso e il frettoloso. Quattro caricature che si inseriscono nella tensione della fuga e alleggeriscono il dramma, dando all’autore un angolo narrativo per giocare con gli strumenti della ritrattistica.

To be continued...

Elisa Carati

lunedì 12 marzo 2012

Conclusione tesi: "Un ordine religioso militare: i cavalieri teutonici(sec. XII-XIV)

I cavalieri teutonici medievali furono un ordine militare capace di fondare lo stato prussiano conquistandone il territorio. Anche per questo il giudizio degli storici, soprattutto quelli del XIX e XX secolo, sull'ordine e sul suo operato è contrastante: per alcuni il giudizio è positivo per altri totalmente negativo. È curioso notare come la provenienza geografica dei suddetti storici ne influenzi il giudizio: normalmente gli storici tedeschi hanno un idea positiva dei cavalieri teutonici poichè essi sono considerati coloro che hanno cristianizzato l'area Baltica e che hanno sviluppato un'eccellente struttura amministrativa1. Il giudizio negativo è dato prevalentemente da studiosi polacchi o comunque provenienti dall'est europeo. Per loro i teutonici sono stati invasori crudeli che hanno conquistato territori non per motivi religiosi ma per brama di potere2. questa “leggenda nera” dei cavalieri teutonici è particolarmente evidente anche in opere di carattere non storiografico: basti pensare al romanzo del 1900 “I cavalieri della croce” del polacco Henryk Sienkiewicz che cinque anni dopo avrebbe ricevuto il premio Nobel per la letteratura. Nel romanzo i teutonici sono rappresentati come sadici oppressori della popolazione polacca. Un'altra opera che riguarda negativamente l'ordine è il film “Aleksander Nevskij” del famoso regista sovietico Sergei Eizensteijn. In questa pellicola i cavalieri teutonici sono presentati come i campioni del mondo germanico in contrapposizione al popolo slavo. Il generale russo è dunque presentato come l'eroe del mondo slavo che riuscì a fermare i teutonici nel loro tentativo di conquista dell'oriente europeo. Per meglio capire l'origine di questa pellicola è necessario considerare che uscì nel 1938, anno in cui la Germania nazista minacciava l'Europa. Proprio il nazismo è stato più volte collegato all'ordine teutonico. In Italia tale idea è apparsa negli anni '70 quando venne pubblicata l'opera di Górski “L'Ordine Teutonico, alle origini dello stato prussiano”. Nell'articolo di presentazione del libro, pubblicato sul corriere della sera, Arturo Lanocita apostrofava i cavalieri teutonici come “bisnonni di Hitler” e anche trent'anni dopo, Gad Lerner nel libro “Crociate. Il millenio dell'odio3 scriveva che “i teutonici[...] diedero vita allo stato teutonico di Prussia e per questo nel XX secolo Hitler li elevò a simbolo della riscossa tedesca”.

Ma esiste un legame tra l'ordine militare medievale e il regime che sconvolse l'Europa e il mondo nel secolo scorso? Certamente i nazisti stessi hanno alimentato questa leggenda. È storicamente vero che alcuni dei simboli nazisti si ritrovino nella simbologia teutonica come, ad esempio, la croce di ferro, massima onorificenza militare nazista, è basata sul modello della croce nera che i cavalieri teutonici portavano sul mantello; ma va sottolineato che l'uso di tale onorificenza fu utilizzata a partire dal 1813 per premiare i prussiani che si erano distinti nelle campagne napoleoniche; poi il simbolo era rimasto in uso fino alla seconda guerra mondiale4. Quindi non possiamo attribuire alla croce di ferro la paternità nazista e in ogni caso non può certo essere la ripresa di un simbolo per incriminare i cavalieri teutonici come precursori dei nazisti; è infatti pratica ricorrente in tutti gli stati riprendere dei simboli o sottolineare legami( veri o presunti) con un periodo storico ritenuto eroico e glorioso.I fascisti per esempio presero come uno dei loro simboli distintivi l'aquila utilizzata dagli antichi romani.

Bisogna riconoscere come vero il fatto che Hitler osannava i cavalieri teutonici dipingendoli come simbolo del popolo germanico, ma questa idea non si basava sulle vicende storiche dell'ordine il cui impegno, va ricordato, era incentrato sulla cura e la protezione dei malati e sulla missione evangelizzatrice; tali ideali nulla avevano da spartire con la purezza della razza o il bisogno dello spazio vitale teorizzate dagli intellettuali nazional-socialisti. In ultima istanza va ricordato che nella Germania hitleriana i “Fratelli dell'ordine tedesco di Santa Maria di Gerusalemme” eredi diretti dell'ordine teutonico, vennero perseguitati e il loro ordine sciolto.

Come già accennato in precedenza, si può dire che il rapporto tra nazismo e ordine teutonico sia uguale(o comunque simile) a quello che c'è tra fascismo e impero romano: un legame che non è una realtà storica ma soltanto la rappresentazione ideale di un periodo ritenuto, a torto o a ragione, importante e significativo.

Certamente poi l'ordine teutonico non è stato un fenomeno totalmente positivo come vorrebbe una certa storiografia tedesca, sviluppata soprattutto a partire dall'Ottocento, quando si vedeva il medioevo come età d'oro del popolo tedesco. I cavalieri teutonici costituivano un ordine militare e in tal senso vanno considerate violenze e azioni che mal si accompagnavano all'insegnamento cristiano e per giustificare ciò non credo che basti il ricordo dei roghi eretti ai danni dei catari o dei massacri compiuti dai vetero-prussiano o dai lettoni a spese degli stessi teutonici, come invece sembra pensare il francese Henry Bogdan5.


1 Hubert Houben, Nuovi orientamenti nelle ricerche sulla storia dell'Ordine teutonico, in L'Ordine teutonico..., cit., p. 3

2 Dal punto di vista storiografico va sottolineato che a partire dalla fine degli anni '70 c'è stato un avvicinamento tra storici polacchi e tedeschi. Tale avvicinamento ha portato, nel 1985, alla formazione della Commissione Storica internazionale per le Ricerche sull'Ordine Teutonico.

3 Op. Cit. In Houben, Nuovi orientamenti..., in L'Ordine..., cit., p. 13

4 Ibid. p. 4

5 Bogdan, Cavalieri..., cit., p. 278

venerdì 9 marzo 2012

Verso Euro 2012: Irlanda


La storia

La Guerra d’Indipendenza degli Anni Venti non si combatté solo nelle strade d’Irlanda, ma anche, in piccola parte, nelle aule della IFA, la Federazione calcistica dell’isola, che fino ad allora aveva avuto il compito di selezionare i giocatori per la nazionale. Dalla sua sede di Belfast si staccarono alcuni indipendentisti, che fondarono la FAI nella capitale del sud Dublino.
Ad eccezione della discreta partecipazione alle Olimpiadi 1924, la questione della nazionale di calcio dell’Eire è rimasta ambigua fino agli Anni Cinquanta, quando la Fifa decise di riconoscere la FAI come Irlanda, e la IFA come Irlanda del Nord, vietando alle due distinte federazioni di continuare a convocare calciatori in tutta l’isola, di qua e di là del confine.
Precedentemente, nel 1949, l’Irlanda era stata la prima nazionale non appartenente al Regno Unito a sconfiggere i maestri inglesi in casa loro, al Goodison Park di Liverpool, per 2-0.
Alle qualificazioni ai Mondiali 1958, sfiorò il successo ai danni ancora dell’Inghilterra, mentre i cugini del Nord eliminavano per la prima (e finora unica) volta l’Italia dalla fase finale del torneo iridato, trascinati dal fuoriclasse del Tottenham Danny Blanchflower.
Nei Mondiali del 1966, disputatisi nella vicina Inghilterra, l’Irlanda sfiorò ancora la qualificazione, perdendo per 1-0 la spareggio contro la Spagna. Nonostante potesse schierare il suo miglior talento di sempre, il centrocampista del Leeds Johnny Giles, e in seguito il pari ruolo LiamBrady (una carriera gloriosa con Arsenal, Sampdoria, Juventus, Inter e Ascoli), la nazionale verde smeraldo non riuscì a vedere la fase finale di un grande torneo fino agli Europei 1988 (mentre l’Irlanda del Nord aveva centrato uno storico ritorno ai Mondiali nel 1986, quando i suoi pali erano difesi da Pat Jennings dell’Arsenal). A quell’epoca, una squadra priva di giocatori di spicco riuscì a ottenere un buon risultato nel torneo continentale (si ricordi la vittoria all’esordio contro l’Inghilterra), grazie ad un gruppo unito e ben gestito dall’ex-campione del mondo inglese Jack Charlton. A quel tempo, la nazionale di rugby irlandese aveva già conquistato sette Home Championship, undici Five Nations, sei Triple Crown e un Grande Slam.
La stessa squadra ottenne anche la prima storica partecipazione ai Mondiali, nell’edizione 1990, dove raggiunge la sua miglior posizione internazionale, con i quarti di finale, eliminata dai padroni di casa dell’Italia. Sempre con Charlton in panchina, l’Irlanda si ripresentò quattro anni dopo, regolando i conti con gli azzurri, con una vittoria all’esordio per 1-0, e poi eliminata agli ottavi dall’Olanda, mentre emergono talenti come il terzino Denis Irwin e il mediano Roy Keane, destinati a diventare due bandiere del Manchester United.
La nuova generazione irlandese, dopo la fallimentare esperienza delle qualificazioni europee 1996, condurrà la nazionale al suo secondo Mondiale nel 2002, mettendo in mostra giocatori con Shay Given, Ian Hart, Damien Duff e Robbie Keane. È questa l’ultima presenza dell’Irlanda ad un grande torneo, infranta in occasione di questi Europei, dopo che la panchina è stata assegnata per la prima volta ad uno straniero, l’ex tecnico di Juventus, Inter, Bayern Monaco e Italia Giovanni Trapattoni, che ha già sfiorato la qualificazione ai Mondiali 2010 (fu un gol irregolare del francese Thierry Henry a lasciare a casa i verdi di Dublino).

Il cammino verso Euro 2012

Accanto ai veterani Shay Given, portiere dell’Aston Villa che Trapattoni ha paragonato a Buffon, e Robbie Keane, rientrato in Europa con un prestito al Villa dai Los Angeles Galaxy, una generazione di giovani e onesti calciatori, dalla quale sembra spiccare solo il genio e sregolatezza Aiden McGeady, ala dello Spartak Mosca. Ma la vera stella è lui, Giovanni Trapattoni, l’uomo che è riuscito a restituire un’anima e un obiettivo a questa squadra, vincitore da giocatore di due scudetti e una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, due Coppe dei Campioni e una Coppa Intercontinentale (tutti con la maglia del Milan), e da allenatore di sette campionati italiani, due Coppe Italia e una Supercoppa italiana, un campionato tedesco, una Coppa di Germania e una Coppa di Lega tedesca, un campionato portoghese e un campionato austriaco, e poi una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea, tre Coppe Uefa, una Coppa dei Campioni e una Coppa Intercontinentale (con Juventus, Inter, Bayern Monaco, Benfica e Salisburgo), titoli che lo qualificano come uno degli allenatori più vincenti della storia del calcio.
In un girone con diverse squadre di bassissimo livello come Armenia (battuta per 1-0 in trasferta e per 2-1 in casa), Andorra (battuta per 3-1 in casa e 2-0 in trasferta) e Macedonia (battuta per 2-0 in trasferta e per 2-1 in casa), il pericolo maggiore per la nazionale irlandese era la Russia, che infatti ha espugnato la Dublin Arena per 3-2, tenendo poi il pareggio nel match di ritorno. I due pareggi contro la Slovacchia, reduce dall’ultimo Mondiale, potevano condannare i verdi a guardarsi il torneo da casa, ma la discontinuità di risultati di Hamsik e compagni (capaci di vincere in Russia e di perdere sonoramente in entrambe le occasioni contro l’Armenia) hanno fatto arrivare l’Irlanda fino al secondo posto. Capocannoniere assoluto del girone, Robbie Keane ha dimostrato di essere un fattore tecnico e carismatico imprescindibile in questa squadra, autore anche di una doppietta nel 4-0 con cui la sua squadra è andata a vincere in Estonia, nella gara d’andata degli spareggi. Al ritorno è bastato l’1-1 per ottenere il ritorno agli Europei, ai quali l’Irlanda parteciperà per la seconda volta, dopo il 1988 in Germania Ovest.

Partite dell’Irlanda agli Europei

Euro ’88: I gir. Inghilterra – Irlanda 0-1

II gir. Irlanda – Urss 1-1

III gir. Irlanda – Olanda 0-1

mercoledì 7 marzo 2012

IL POSTO DE' VERGOGNOSI: ANALISI DEL CAPITOLO XVI DEI PROMESSI SPOSI- Parte I

LA FUGA
«Scappa, scappa galantuomo: lì c’è un convento, ecco là una chiesa; di qui, di là» è il grido della folla che apre il XVI capitolo dei Promessi Sposi. Renzo è riuscito a liberarsi da notaio e sbirri che lo avevano incastrato dopo la sua notte “chiacchierina” all’osteria La Luna piena.Incipit che subito ha qualcosa da dire. «‐ Scappi, scappi. Non si lasci prendere.», urlano gli spettatori del duello tra Lodovico e l’ «arrogante e soverchiatore di professione» nel capitolo VI. Salta inevitabilmente agli occhi l’affinità fra le due sequenze: l’aspetto scenico della ressa, in particolare, ha la funzione di rappresentare un coro di testimoni che, come alla fine di ogni dramma, prende le difese del più debole. Lo stesso autore ci spiega questo fraterno sentimento popolare,

[…]"e, col consiglio, venne anche l’aiuto. Il fatto era accaduto vicino a una chiesa di cappuccini. L’uccisore fu quivi condotto o portato dalla folla, quasi fuor di sentimento; e i frati lo ricevettero dalle mani del popolo, che glielo raccomandava, dicendo: «è un uomo dabbene che ha freddato un birbone[…]».

Gli umili si coalizzano con gli umili di fronte all’ingiustizia, spalleggiando una legittima difesa nello stesso modo con cui proteggono un innocente ingabbiato sulla base di accuse fasulle e campate in aria, fatto capro espiatorio dai detentori del potere. È la seconda fuga nel giro di poche pagine. Nel capitolo VIII Renzo e promessa sposa, insieme alla futura suocera, scappano dal loro nido familiare grazie all’aiuto di fra’ Cristoforo.

L’accostamento delle due fughe rivela un sottile modus operandi dell’autore: se nell’addio ai monti abbiamo a che fare con un allontanamento lento, dovuto anche al mezzo di trasporto (una barca sul lago), qui facciamo i conti con una concitazione e una fretta impulsiva, con una corsa contro il tempo.
Non a caso la protagonista della prima era Lucia, che malinconicamente saluta le sue
montagne, sommessamente piange conscia di ciò che lascia e inconsapevole di ciò che
l’aspetta, colpita dall’avverso destino. Nel secondo caso abbiamo come attore principale un Renzo che, per carattere e per circostanza, non può permettersi di salutare Milano in tranquillità. Ingiustamente ingabbiato nelle mani della giustizia, riesce a cavarsi d’impiccio grazie all’aiuto della folla responsabile dei tumulti del giorno addietro. Le due situazioni sono perfettamente calibrate sui due personaggi principali, vissute dal lettore come dovevano essere vissute l’una da Lucia e l’altra da Renzo.

Confrontiamo anche dal punto di vista stilistico le due sequenze: «[…]e [Renzo], uscendo per il largo che gli fu fatto immediatamente, prese la rincorsa, e via; dentro per un vicolo, giù per una stradetta, galoppò un pezzo, senza saper dove», alla descrizione viene impresso il ritmo frenetico proprio della corsa. Essa rivela anche altri due dati essenziali: in primo luogo, i pensieri di Renzo sono tutti volti all’immediato presente, non c’è il tempo materiale di guardarsi indietro, lo sguardo non può distrarsi, è costretto a trovare il vicolo e poi la stradetta, a correre all’impazzata come un cavallo (similitudine intrinseca nel verbo galoppò); in secondo luogo, qui come nell’addio ai monti, il protagonista non sa dove sta
andando e sa però cosa si accinge a lasciare, che in questo frangente è una realtà scomoda dalla quale ha ricevuto solo cattive sorprese. Il distacco, sarà ora assolutamente poco penoso, quasi liberatorio, e la cadenza della fuga ce lo riconferma.

La fuga nel capitolo VIII appare invece come una panoramica sui luoghi ai quali i protagonisti sono costretti a rinunciare, un abbandono lento e doloroso che rivela in ogni parola la sfumatura di uno stato d’animo:
"Essi s’avviarono zitti zitti alla riva ch’era stata loro indicata. […] l’onda segata dalla barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata, che s’andava allontanando dal lido. I passeggeri silenziosi, con la testa voltata all’indietro, guardavano i monti, e il paese rischiarato dalla luna […]."
Gli attori della scena qui volgono la testa all’indietro, esattamente come i loro pensieri, che ritornano nei luoghi a loro più cari, al nido che li aveva protetti fino a quel momento. Dalla natura si passerà direttamente a Lucia e ai suoi sentimenti amari, in uno dei passaggi più alti stilisticamente parlando. Qui la descrizione approda nel “pianse segretamente” della suddetta, azione che eleva al massimo grado il personaggio: a un livello più profondo di indagine significa che la protagonista sta rielaborando interiormente tutto ciò che è accaduto nelle pagine precedenti e i suoi pensieri traboccano in un pianto sommesso, non disperato, perché è ancora viva in lei la speranza (elemento tipicamente manzoniano).

Elisa Carati

lunedì 5 marzo 2012

Girard e Aron sulla politica di Clausewitz

Il seguente articolo rientra nella sezione "Discorsi Tesi", il cui obiettivo è presentare in breve il risultato di una ricerca, appunto la tesi di laurea, per fornirvi interessanti spunti da seguire per saperne di più sul tema trattato: ovviamente i pezzi non hanno lo scopo di darvi un quadro esauriente (che sarebbe impossibile fornire in poche righe, dato che ci è voluta un'intera tesi), ma dare il la per vostre future ed eventuali ricerche. Ecco il discorso della laurea triennale di >> FEDE, luglio 2011. Buona lettura!


L’articolo è basato sul confronto fra tre opere: il Vom Kriege, trattato di guerra del generale prussiano Carl von Clausewitz, vissuto tra il 1780 e il 1831, quindi in piena epoca napoleonica; Portando Clausewitz all’estremo, opera del 2007 di René Girard, antropologo e sociologo francese contemporaneo; e una raccolta di saggi scritti tra il 1972 e il 1980 da Raymond Aron, sociologo e giornalista francese, intitolata Clausewitz, in cui il Vom Kriege viene inserito nel contesto della Guerra Fredda.
La scelta di analizzare il testo di Clausewitz da parte di Girard è data dalle possibilità presenti nel Vom Kriege di supportare alcune delle maggiori tesi dell’antropologo francese, tra cui il meccanismo della mimesi del desiderio. Tale processo genera sia una volontà di imitazione che di superamento del modello-rivale. Questo meccanismo mimetico è visibile in una delle definizioni che Clausewitz dà della guerra nel primo capitolo del primo libro: la guerra è un duello più esteso che ha come scopo immediato imporre all’avversario la propria volontà. Per raggiungere lo scopo è necessario uno sforzo estremo, in quanto nella lotta uno contro uno i due contendenti non possono contare su un aiuto esterno, ma solo sulle proprie forze.
L’obiettivo di Girard è “finire” ciò che Clausewitz, razionalista, si vieta di seguire fino in fondo: ammettere che i conflitti reali sono assoluti e basati su una reciprocità violenta.
L’analisi di Girard evidenzia particolarmente solo uno dei due principali fattori che caratterizzano il conflitto in Clausewitz; l’altro elemento, quello strategico, viene esaminato con precisione da Aron. Punto di partenza della sua riflessione è un’altra definizione di guerra riportata nel primo capitolo del primo libro del Vom Kriege, quella che descrive il conflitto come continuazione della politica con altri mezzi. In effetti la guerra è il luogo della violenza estrema, ma la violenza non può costituire l’unico fattore nella direzione della guerra, perché bisogna tenere conto di altre cause, che Clausewitz etichetta con “frizione di guerra”, elementi contingenti ed improvvisi, come ad esempio le condizioni climatiche o lo scatenarsi di un’epidemia nell’esercito, che influenzano inevitabilmente le sorti del conflitto; perciò è necessaria la presenza di un’intelligenza guida, la politica, con il compito di decidere la tattica, che predispone e dirige i combattimenti, e la strategia, che li collega tra loro, secondo un preciso scopo politico.
Le riflessioni dei due sociologi francesi sottolineano l’originalità della distinzione clausewitziana tra guerra assoluta e guerra reale. Scopo della prima è annientare il nemico, costringerlo ad una pace secondo le nostre condizioni, scopo della seconda è sconfiggere l’avversario, ottenendo importanti conquiste da far valere nelle trattative di pace.
Aron sostiene la tesi che l’abbattimento del nemico e l’ascesa agli estremi della guerra assoluta sia una necessità logica, un concetto astratto: nel conflitto reale è la conduzione ragionata della guerra a farla da padrona. Girard al contrario afferma che l’inserimento della politica nella definizione di guerra sia un’opera di razionalizzazione del conflitto da parte di Clausewitz, il quale cercherebbe di porre un freno alla violenza estrema che lui stesso ha teorizzato nelle prime battute del suo trattato.
Se per Aron la Guerra Fredda è una chiara dimostrazione dell’importanza e dell’efficacia del ruolo della politica come freno all’ascesa agli estremi, per Girard, che pone particolare attenzione agli eventi dei nostri giorni, la guerra tra medio Oriente ed Occidente, combattuta attraverso il terrorismo, è un evidente esempio di come oggi i conflitti siano portati sempre più all’estremo.
Ciò che accomuna la Guerra Fredda ai giorni nostri è la concentrazione del destino dell’umanità si nelle mani di pochi uomini di potere, da cui gli altri si fanno passivamente guidare. Nietzsche parlava di “uomini senza orgoglio”, riferendosi a coloro che erano pronti a barattare la padronanza di decidere della propria vita, con la sicurezza di una vita lunga, comoda e agiata, perdendo così quel desiderio e quella volontà di farsi riconoscere dall’avversario. Oggi le cose non sembrano poi tanto diverse.




>>FEDE

sabato 3 marzo 2012

Verso Euro 2012: Francia

STORIA

Nonostante oggi sia entrata a pieno diritto tra le “grandi” del calcio mondiale e venga quindi considerata tra le principali candidate alla vittoria ad ogni grande manifestazione internazionale a cui partecipa, la Francia ha raggiunto i fasti che le competono relativamente tardi, tra gli anni ottanta e la fine degli anni novanta. Le fortune della nazionale  transalpina in questi due decenni ruotano attorno alle prestazioni offerte dai talenti indiscussi che rispondono al nome di Michel Platini e Zinedine Zidane, veri uomini–squadra capaci di formare attorno a sé un collettivo di classe e successo. Ma andiamo con ordine.

La nazionale di calcio francese gioca il suo primo match nel 1904, un 3-3 contro gli odiati rivali del Belgio. Non c’è molto da dire sui risultati ottenuti dai galletti nell’anteguerra, se non che è francese il primo gol della storia dei mondiali, messo a segno da tal Lucien Laurent nella vittoria contro il Messico nell’edizione inaugurale del 1930. Fu negli anni 50 che il calcio francese cominciò a esprimere i primi talenti di livello internazionale, grazie alle imprese dello Stade de Reims due volte finalista di Coppa dei Campioni. Su tutti spicca il nome di Raymond Kopa, che dopo aver giocato la finale del 1956 con la maglia del Reims fu acquistato dai rivali del Real Madrid e partecipò alle tre successive vittorie del grande Real di quegli anni, venendo anche premiato con il Pallone d’Oro nel 1958. Dallo Stade de Reims veniva anche Just Fontaine, artefice insieme a Kopa del primo acuto della nazionale francese: il terzo posto ai mondiali di Svezia nel 1958. Fontaine passerà alla storia per aver messo a segno il maggior numero di gol in una singola edizione dei campionati del mondo: ben 13 in sole sei partite! Questo primo periodo di splendore del calcio francese si concluse con la partecipazione infruttuosa (4° posto finale) alla prima edizione dell’Europeo nel 1960.

Dopo di che iniziò un lungo periodo di declino per i “Bleus” che si concluse solo negli anni ’80 con l’arrivo sulla scena europea e mondiale di uno dei più grandi talenti della storia del calcio: Michel Platini. Supportati dalla classe dello juventino, unico giocatore (prima di Leo Messi) a vincere per tre volte consecutive il Pallone d’Oro, e guidati da allenatori di alto livello come Michel Hidalgo e Henri Michel, i francesi raggiunsero due semifinali consecutive ai mondiali del 1982 e 1986, inframmezzate dal trionfo casalingo agli europei del 1984. Quell’europeo fu l’apoteosi di Platini: con 9 reti in cinque partite, fu il capocannoniere del torneo, segnò in tutte le partite con due triplette consecutive contro Belgio e Yugoslavia, diventando già allora leggenda. C’è da dire che la classe di Platini era comunque affiancata da una generazione di talenti di tutto rispetto: ricordiamo solo Alain Giresse, Marius Trésor, Jean Tigana, Luis Fernandez, Dominique Rocheteau, Yannick Stopyra e Jean-Pierre Papin (Pallone d’Oro 1991).

Terminata l’era Platini, seguirono anni di declino in cui, nonostante i successi a livello di club con l’Olympique Marsiglia, unica squadra francese a vincere la Coppa dei Campioni nel 1993 (prima edizione della rinominata Champions League) e nonostante la presenza di giocatori di grande talento come Papin e la testa calda Eric Cantona (ancora oggi idolo assoluto della tifoseria del Manchester United; consiglio a tutti il film di Ken Loach Il mio amico Eric per chi non conoscesse il personaggio), la Francia collezionò solo clamorose figuracce, con la mancata qualificazione a due mondiali e un europeo tra il 1988 e il 1994. Ma fu proprio negli anni immediatamente successivi che cominciò a sorgere e consolidarsi, sotto la guida di Aimé Jacquet, quella generazione d’oro del calcio francese che portò i Bleus alla doppia vittoria mondiale–europea del 1998–2000. In precedenza, la nazionale francese aveva colto una semifinale insperata a Euro 96, pur priva di Cantona, grazie all’apporto di un giovane Zidane. Intorno a lui Jacquet modellò la squadra che trionfò, ancora una volta in casa come nell’84, nella coppa del mondo del 1998. In quella squadra oltre a Zidane militavano giocatori del calibro di Didier Deschamps, Patrick Vieira, Marcel Desailly, Yuri Djorkaeff, Laurent Blanc, Lilian Thuram e i giovanissimi Thierry Henry e David Trezeguet. A quel trionfo meritato (che fruttò a Zidane il pallone d’oro lo stesso anno) seguì quello europeo in Belgio e Olanda nella sciagurata finale contro l’Italia vinta 2-1 al golden goal.

Dopo quel successo, la Francia non ha più avuto molte soddisfazioni agli Europei ( eliminazione ai quarti contro la rivelazione Grecia nel 2004 e al primo turno nel 2008), mentre ha raggiunto ancora la finale mondiale nel 2006 sotto la guida di quel “simpaticone” di Domenech. Nel frattempo l’Olympique Lione ha preso il posto come potenza del calcio francese in patria e in Europa (sette titoli consecutivi di Ligue 1 nel 2002-2008 e semifinale di Champions League nel 2010) che fu del Marsiglia campione d’Europa e del Paris Saint Germain vincitore della coppa delle coppe negli anni ’90, mentre il calcio francese fatica a trovare nuovi talenti capaci di dare vita a una nazionale competitiva.

IL CAMMINO VERSO EURO 2012

La Francia ha strappato il biglietto per gli europei di Polonia e Ucraina solo in extremis, per colpa di qualche passo falso di troppo (un punto conquistato nelle due partite contro la Bielorussia), ma soprattutto per merito di una generosissima Bosnia–Erzegovina che ha dato filo da torcere ai francesi fino all’ultima giornata, presentandosi allo scontro diretto decisivo disputato allo Stade de France con un solo punto di ritardo in classifica. E per più di mezz’ora i bosniaci hanno avuto la qualificazione in mano grazie alla prodezza del loro fuoriclasse Dzeko. Poi a tredici minuti dalla fine la Francia ha usufruito di un calcio di rigore dubbio, che Nasri ha trasformato facendo esplodere i 78.000 dello Stade de France e spedendo i “Bleus” al loro ottavo Europeo. Onore alla Bosnia, che meritava decisamente maggior fortuna, ma nel complesso una qualificazione comunque meritata per i galletti.

Più difficile è dire cosa potranno fare i ragazzi di Blanc in Polonia e Ucraina. Il calcio francese soffre ormai già da anni (diciamo dal secondo posto ai mondiali del 2006, che è coinciso con il ritiro dal calcio di Zidane) dell’assenza di una vera e propria stella in attacco, un campione capace di essere decisivo, come si evince dal fatto che i migliori marcatori nel girone di qualificazione Benzema, Gourcuff e Malouda hanno messo a segno solo tre reti. Sicuramente le stelle della nazionale di Blanc sono mezze punte come Franck Ribery in forza al Bayern Monaco e Samir Nasri del Manchester City. I francesi possono fare affidamento in difesa su elementi di grande esperienza come Patrice Evra, Philippe Mexes e Eric Abidal e su un portiere ben collaudato come Hugo Lloris. Anche  a centrocampo i nomi non mancano con i vari Malouda, Valbuena, Diarra. I dubbi maggiori riguardano appunto l’attacco che per il momento si affida a giocatori certo talentuosi ma troppo discontinui come Karim Benzema, Yoann Gourcuff, Jeremy Menez. Inoltre Blanc ha manifestato in questi due anni la volontà di dare spazio a molti giovani, il che è sicuramente un bene, ma senza dare mai continuità ai giocatori che ha fatto esordire in nazionale. Per di più la maggior parte di questi giocatori milita in Ligue 1, campionato sicuramente meno competitivo rispetto a Liga, Premier League, Bundesliga e Serie A, e peccano quindi di esperienza soprattutto a livello internazionale. Non è da escludere comunque che dal “vivaio Blanc” possa uscire qualche protagonista inaspettato. In questo senso i nomi da tenere maggiormente d’occhio sembrano essere quelli di Olivier Giroud del Montpellier e Kevin Gameiro del Paris-Saint-Germain. Io personalmente darei spazio a un ottimo talento, ancor più giovane, messosi in luce quest’anno in Champions League con la maglia del Lione, quell’Alexandre Lacazette già campione d’Europa con la nazionale U-19 ma ancora a secco di presenze con la nazionale maggiore.

Non è facile fare un pronostico per i prossimi europei. Certamente i galletti hanno buone chances di passare il primo turno, tenuto conto del girone nel quale sono inseriti con Ucraina, Inghilterra e Svezia. Difficile però pensare che possano essere realmente tra i protagonisti del torneo.

 
Partite della Francia agli Europei:

Euro ’60: SF Francia – Yugoslavia 4-5
F 3/4 Cecoslovacchia – Francia 2-0

Euro ’84: I gir. Francia – Danimarca 1-0
II gir. Francia – Belgio 5-0
III gir. Francia – Yugoslavia 3-2
SF Francia – Portogallo 3-2 d.t.s
F Francia – Spagna 2-0

Euro ’92: I gir. Svezia – Francia 1-1
II gir. Francia – Inghilterra 0-0
III gir. Francia – Danimarca 1-2

Euro ’96: I gir. Romania – Francia 0-1
II gir. Francia – Spagna 1-1
III gir. Francia – Bulgaria 3-1
QF Francia – Olanda 0-0 d.t.s (5-4 ai rigori)
SF Francia – Rep. Ceca 0-0 d.t.s (5-6 ai rigori)

Euro 2000: I gir. Francia – Danimarca 3-0
II gir. Rep. Ceca – Francia 1-2
III gir. Francia – Olanda 2-3
QF Spagna – Francia 1-2
SF Portogallo – Francia 1-2 d.t.s
F Francia – Italia 2-1 d.t.s

Euro ‘04: I gir. Francia – Inghilterra 2-1
II gir. Croazia – Francia 2-2
III gir. Svizzera – Francia 1-3
QF Francia – Grecia 0-1

Euro ’08: I gir. Romania – Francia 0-0
II gir. Olanda – Francia 4-1
III gir. Francia – Italia 0-2