martedì 28 febbraio 2012

La religione nel contratto sociale di Rousseau- Parte II

Nel capitolo ottavo del quarto libro del Contratto Sociale, Rousseau ci presenta una successione cronologica delle religioni storiche, spiegando anche i motivi che hanno causato il prevalere dell’una sulle altre nelle diverse fasi storiche. Secondo il filosofo ginevrino la successione si articola in questo modo:

1. Il Governo Teocratico
Originariamente gli uomini posero gli Dèi come loro Re, poiché a quei tempi non potevano sopportare di avere propri simili come padroni e per questo motivo tutti i Re erano anche Dèi e venerati come tali. Vi sono numerosi esempi che confermano questa tesi: basti citare i faraoni egizi, o, come fa Rousseau, gli imperatori romani e in modo particolare Caligola, e i Greci che si consideravano sovrani naturali dei Barbari.
Per Governo Teocratico il filosofo ginevrino intende quindi l’organizzazione religiosa statale per cui autorità politica ed autorità religiosa coincidono in un’unica figura venerata e considerata come una divinità.
Da ciò consegue che, poiché Dio veniva posto a capo di ogni società politica e vi erano tanti Dèi quanti popoli, nacque il politeismo e con esso l’intolleranza religiosa e l’intolleranza civile, che come approfondirò nell’ultima parte, sono la stessa cosa.

2. Il Politeismo Pagano
Con le numerose conquiste dell’Impero Romano, che arrivò ad occupare quasi tutte le terre allora conosciute, ogni imperatore doveva affrontare il problema della coesione e della compattezza dell’immenso territorio su cui si trovava a governare: era quindi evidente come la religione potesse rappresentare un importante fattore di unità da sfruttare a proprio vantaggio.
Nelle numerose guerre in cui i Romani assoggettarono una grandissima quantità di popolazioni, lasciarono ai vinti i loro Dèi, proprio perché consideravano questi Dèi sudditi dei propri, imponendo il solo tributo a Giove Capitolino. In questo modo permisero la diffusione dei loro Dèi ma nel contempo anche l’assorbimento di nuove divinità, e così l’immenso impero si trovò ad avere una moltitudine di Dèi e il paganesimo diventò la religione universale, ovvero la «sola e identica Religione del mondo conosciuto», elemento decisivo per la coesione di quel vasto impero.

3. Il Cristianesimo
Fu in questo contesto che venne a prendere lentamente forma un nuovo culto, dapprima esercitato di nascosto dalle minoranze, poi sempre più ampio capace di coinvolgere una grandissima parte dell’Impero, il Cristianesimo che, con l’editto di Costantino nel 313 d.C., divenne religione ufficiale di stato.
Il Cristianesimo «venne a fondare sulla terra un regno spirituale […] separando il sistema teologico da quello politico». L’idea di un mondo ultraterreno, infatti, portò i Cristiani a distaccarsi dalle cose di questo mondo ed a considerare l’aldilà con una priorità certamente maggiore rispetto alla vita terrena. Tutto ciò era chiaramente intollerabile per i Pagani che iniziarono a perseguitarli: la loro paura si era avverata, si crearono incomprensioni a causa della duplicità dei poteri e l’unità dello Stato iniziò ad incrinarsi.
Per dimostrare la sua tesi, Rousseau riporta l’opinione di Hobbes, elogiandolo poiché fu l’unico ad avere visto il male del Cristianesimo, ovvero la separazione dei poteri, l’incompatibilità d’interessi del Prete e dello Stato e conseguentemente la divisione interna dello Stato stesso.
L’ultimo capitolo del Contratto Sociale lancia spunti di riflessione interessanti; infatti si inserisce all’interno di una serie di opere filosofiche (soprattutto hobbesiane) che affrontano due temi fondamentali:




1. Il problema del dualismo Stato-Chiesa
Criticando violentemente il cristianesimo, Rousseau, ne sottolinea il maggior difetto: la creazione di una duplicità di poteri e conseguentemente di una confusione relativamente a chi si debba realmente obbedire. Con il Cristianesimo è nato il forte dualismo tra Stato e Chiesa.
Il filosofo ginevrino si schiera in modo esplicito dalla parte di Hobbes, che nelle sue opere aveva sostenuto la necessità di sottomettere il potere religioso a quello politico-civile, ponendo entrambi i poteri nelle mani di un unico Sovrano. Questo è l’unico modo per tutelare l’unità dello Stato che altrimenti viene diviso al suo interno, diventa più debole e non riesce a garantire più la sicurezza dei cittadini, unico scopo per cui è stato fondato.

2. La libertà delle coscienze
Al nucleo concettuale della tolleranza si collega il tema della libertà delle coscienze.
Rousseau è molto chiaro a questo proposito: «Il diritto che il patto sociale conferisce al Sovrano sui sudditi non oltrepassa […] i limiti dell’utilità pubblica». Ciò significa che il Sovrano può controllare le opinioni dei cittadini solo se sono opinioni importanti per la comunità; in tutto ciò che sconfina l’ambito civile il Sovrano non ha alcun potere o alcun diritto, non deve preoccuparsi di quale sarà la vita futura dei sudditi, non può obbligare nessuno a credere in una determinata religione, anche se può bandire un cittadino infedele non in quanto empio ma in quanto asociale. Il Sovrano deve cioè interessarsi unicamente alla vita sociale nello Stato e preoccuparsi che i sudditi siano buoni cittadini.
Per il filosofo di Ginevra è quindi di fondamentale importanza garantire ai sudditi una libertà che Hobbes definirebbe “silenzio delle Leggi”, ovvero una libertà totale in tutto ciò che non è prescritto dalle leggi. Ma c’è di più: Rousseau si preoccupa anche di evitare che le Leggi del Sovrano oltrepassino l’ambito dell’utilità pubblica, ponendo un vero e proprio limite al Sovrano stesso nel momento della legiferazione. Il suddito è quindi libero di fare ciò che vuole e credere in ciò che vuole purché mantenga una professione di fede civile, sia un buon cittadino e un suddito fedele.

>>FEDE

domenica 26 febbraio 2012

Verso Euro 2012: Svezia


Storia

La Svezia è la più prestigiosa tra le nazionali di calcio scandinave, quella con la migliore tradizione e i giocatori più celebri.

La sua avventura iniziò nel 1908, con la goleada rifilata alla Norvegia (11-3) e successiva partecipazione alle Olimpiadi di Londra dello stesso anno, dove la Svezia subì la sconfitta più pesante della sua storia, 12-1 contro l’Inghilterra.

L’Olimpiade divenne da subito un appuntamento fisso della nazionale giallo-blu, con le presenza casalinga di Stoccolma 1912 (eliminata subito dall’Olanda), quella di Anversa 1920 (eliminata al secondo turno, ancora dall’Olanda) e la storica Olimpiade di Parigi 1924, quando ottenne la medaglia di bronzo, vincendo la finale di consolazione, nuovamente contro l’Olanda, dopo due sfide tesissime. Quella formazione, allenata da futuro tecnico di Pro Vercelli e Bologna Jozsef Nagy, schierava il diciannovenne attaccante dell’Orgryte Sven Rydell, che concluse il torneo con 5 reti in 6 partite. Rydell giocò in nazionale per un decennio, chiudendo la carriera con 49 gol all’attivo in sole 43 partite con la nazionale, attualmente record svedese.

Nel 1934, la Svezia partecipò alla seconda edizione dei Mondiali, la prima in Europa, bissando la sua presenza al torneo successivo, nel 1938, in Francia, raggiungendo il quarto posto, dopo aver perso la finalina contro il Brasile.

Il calcio cresceva rapidamente in Scandinavia, quando alle Olimpiadi di Londra 1948, il primo evento sportivo dopo la guerra, la Svezia conquistò una sorprendente medaglia d’oro (l’intera compagine svedese si piazzò seconda nel medagliere, dietro agli Stati Uniti), mettendo in mostra una generazione di talenti cristallini guidati dalla mezzala del Goteborg Gunnar Gren, dal centravanti del Norrkoping Gunnar Nordhal, e il geniale centrocampista Nils Liedholm, anche lui al Norrkoping. Tre giocatori che, l’anno seguente, si sarebbero trasferiti in blocco al Milan, formando una delle più grandi squadre del panorama internazionale. Nonostante ciò, la federcalcio svedese impedì ai professionisti di prendere parte alla Coppa del Mondo 1950 in Brasile, privandosi del suo terzetto delle meraviglie, ma riuscendo comunque a raggiungere il terzo posto. Fu in quella occasione che si mise in mostra l’attaccante Karl Skoglund, detto “Nacka”, acquistato dall’Inter dopo il torneo, che divenne uno dei fari della formazione svedese ai Mondiali casalinghi del 1958. Con la decisione di convocare anche i professionisti, il tecnico inglese Raynor poté richiamare giocatori ultratrentenni come Gren e Liedholm, affiancati a giovani di belle speranze come Kurt Hamrin della Juventus, poi protagonista con le maglie di Fiorentina (una storica finale di Coppa dei Campioni) e Milan. In quell’occasione, la Svezia ottenne il secondo posto dietro al Brasile di Pelé, sua migliore prestazione dei sempre ai Mondiali.

La fine di quella generazione tenne lontana la formazione scandinava dai grandi palcoscenici fino ai Mondiali 1970, quando si ripresentò grazie all’apporto dell’attaccante del Psv Eindhoven Ove Kindvall, uscendo al primo turno. Disputò anche le due successive edizioni del torneo, prima di un nuovo oblio, interrotto nel 1990, con una partecipazione ben poco soddisfacente, ma che mise in mostra una nuova generazione, se non d’oro, almeno d’argento: il portiere Thomas Ravelli (recordman di presenze in nazionale), il difensore Patrick Andersson (un futuro con le maglie di Bayern Monaco e Barcellona), e l’attaccante del Parma Thomas Brolin. Saranno loro a portare la Svezia, nel 1992, alla semifinale degli Europei casalinghi, e al ritorno alle Olimpiadi dopo quarant’anni d’assenza.

Nell’edizione 1994 della Coppa del Mondo, la coppia d’attacco Martin Dahlin-Kennet Andersson trascinò la Svezia fino al terzo posto, dopo una meravigliosa partita finita ai calci di rigore contro la Romania e la finalina contro la Bulgaria. Ma, ancora una volta, a questo risultato non seppe seguire una conferma, e bisognò attendere il 2000, agli Europei di Olanda e Belgio, per rivedere i giallo-blu ad alti livelli. La nuova squadra, costruita sulla brillantezza di Teddy Ljungberg e sui gol di Henrick Larsson fu eliminata al primo turno, ma formò l’ossatura per le successive qualificazioni a tutte le maggiori competizioni per squadre nazionali, fino alla clamorosa esclusione degli ultimi Mondiali.

Non va dimenticata la solida tradizione svedese nel calcio femminile, che ha prodotto talenti come Hanna Ljungberg e Jessica Landstrom, ottenendo tre argenti europei e un argento mondiale.

Il cammino verso Euro 2012

Oggi, gli scandinavi appaiono solo un gruppo di buoni giocatori mai del tutto affermatisi (come l’ala Christian Wilhelmsson, ex-Roma, oggi all’Al-Hilal; o le punte Markus Rosenberg del Santander e Johan Elmander del Galatasaray), che gira attorno ad un buon portiere come Andreas Isaksson (Psv Eindhoven) e, soprattutto, alla punta Zlatan Ibrahimovic (Milan).

Nelle qualificazioni, la Svezia ha vinto tutte le gare interne, subendo appena 3 gol (uno dalla Moldavia, e due dall’Olanda) e segnandone 18. In trasferta ha stentato maggiormente, con una pesante sconfitta per 4-1 in Olanda e una clamorosa in Ungheria. I 5 gol complessivi di Ibrahimovic, terzo miglior marcatore del girone eliminatorio dopo l’olandese Huntelaar e il finlandese Forssell, testimoniano la finalmente raggiunta maturazione di questo giocatore anche nella propria nazionale: da oggetto estraneo/profeta nel deserto, Ibra è diventato leader carismatico e trascinatore di una squadra che, senza di lui, vale ben poca cosa.

I 24 punti ottenuti non sono bastati a conquistare il primo posto, andato per soli tre punti di vantaggio all’Olanda, ma hanno qualificato direttamente i giallo-blu ai Mondiali come migliore seconda, evitando gli spareggi.

Partite della Svezia agli Europei

Euro ’92: I gir. Svezia – Francia 1-1

 II gir. Svezia – Danimarca 1-0

III gir. Svezia – Inghilterra 2-1

SF. Svezia – Germania 2-3

Euro 2000: I gir. Belgio – Svezia 2-1

II gir. Svezia – Turchia 0-0

III gir. Italia – Svezia 2-1

Euro ’04: I gir. Svezia – Bulgaria 5-0

II gir. Italia – Svezia 1-1

III gir. Danimarca – Svezia 2-2

QF. Svezia – Olanda 0-0  4-5 d.c.r.

Euro ’08: I gir. Grecia – Svezia 0-2

II gir. Svezia – Spagna 1-2

III gir. Russia – Svezia 2-0

venerdì 24 febbraio 2012

STAY TUNED! GENTLE GEORGE

Oggi apriamo la nuova rubrica musicale Stay Tuned!, che potremmo considerare già inaugurata con l'articolo I Pink Floyd e Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, primo post del nostro blog, risalente al 3 ottobre 2011. Ma c'è un motivo se la apriamo oggi e non l'abbiamo fatto prima: ora ci proponiamo infatti di esplorare il mondo della musica in modo continuativo, con un appuntamento al mese che si occupi di figure che hanno segnato la storia della musica contemporanea, di modo che più lettori possibili possano venire a conoscerle con regolarità ed eventualmente approfondirne la conoscenza con ricerche personali e soprattutto con l'ascolto dei brani più significativi. Buona lettura, buon ascolto e... STAY TUNED!

GENTLE GEORGE


Dopo diversi mesi di pausa, torniamo a parlare di musica (e di Beatles naturalmente!) in occasione di un anniversario speciale: il 25 febbraio 1943 ( o il 24, come sosteneva lui ) nacque infatti George Harrison, il Beatle dolce e gentile, “the Quiet One”, che non raggiunse mai la fama degli illustri colleghi John Lennon e Paul Mc Cartney ma regalò ai Beatles e al mondo capolavori come Something, Here comes the sun, While my guitar gently weeps.

La sua non è una storia come tante altre, ma quella di un abile chitarrista di Liverpool che in poco tempo si trovò catapultato in un mondo che un po’ lo affascinò, perché certamente non credeva che sarebbe capitato proprio a lui di fare una miriade di concerti in pochi anni, i Favolosi anni amburghesi, e diventare di lì a poco il chitarrista della band più famosa e amata al mondo, ma certo lo scombussolò parecchio, tanto da distaccarsene pian piano per cercare un mondo più vero e spirituale.

Il mondo che gli fece conoscere Ravi Shankar, eccezionale suonatore di sitar incontrato durante il viaggio in India del 1966, senza il quale Harrison affermò che sarebbe diventato “un vecchio scemo e noioso”. Questo incontro fu per lui di grande stimolo: diverse volte tornò in India anche senza gli altri Beatles, e grazie all’apporto della cultura indiana si dedicò a varie sperimentazioni musicali, come la colonna sonora Wonderwall Music e un pezzo elettronico di grande interesse, Electronic Sound.

Il legame con Ravi Shankar si consolidò sempre più, tanto da passare da una semplice ispirazione nella composizione di canzoni come Within you without you, in cui affascina l’evocativo suono del sitar, che Harrison fu tra i primi a inserire nella musica occidentale, a vere e proprie collaborazioni, come quella che diede vita al primo concerto di beneficienza della storia del rock, tenutosi a New York in occasione della guerra civile tra Pakistan e India nel 1971, che portò alla formazione dello stato del Bangladesh. Harrison si impegnò molto per la causa, riuscendo a ottenere la collaborazione di musicisti di grande calibro come Bob Dylan ed Eric Clapton.

Fu un successo davvero clamoroso, che attirò un pubblico numeroso ed entusiasta ma che purtroppo non diede aiuti particolarmente significativi ai profughi della guerra civile per problemi sollevati dal fisco americano. Harrison però non si diede per vinto e continuò la sua attività benefica, come mostra l'istituzione nel 1973 della Material World Charitable Foundation, a cui donò i proventi dell’album Living in the Material World.

I successivi anni trascorrono tra apparizioni pubbliche sempre meno frequenti e due passatempi che appassionano molto Gentle George: la formula 1, che gli permise di coltivare e consolidare l’amicizia con il pilota scozzese Jackie Stewart, e il giardinaggio. È un periodo in cui Harrison cerca di distaccarsi il più possibile dal mondo della ribalta: proprio del disagio provocato dalla fama parlerà nell’autobiografia I me mine, pubblicata nel 1979.

Per questo motivo negli anni ’80 il chitarrista si dedicò per lo più al cinema, con una propria casa di produzione, la Handmade Films, che collezionò sia successi sia insuccessi e dovette chiudere nel 1994. Il fronte musicale invece si rivelò deludente: fu un fiasco tremendo l’album Gone, per cui Harrison non volle nessuna promozione, mentre nel 1987 poté tirare un sospiro di sollievo con Cloud Nine, per il quale si avvalse della collaborazione di Ringo Starr, oltre che di Eric Clapton ed Elton John. Da segnalare la canzone When We Was Fab, il cui videoclip gli permise di essere premiato al Festival di Sanremo 1988 per il “Miglior Video dell’Anno”.

Gli ultimi anni della sua vita trascorsero tra altri progetti musicali, come quello dei Traveling Wilburys, cui parteciparono anche Bob Dylan e Roy Orbison, e la necessità di far fronte alle sempre peggiori condizioni di salute, tanto che non fu l’aggressione subita una notte del lontano 1999 da uno squilibrato, come era accaduto all’amico e collega John Lennon, a provocargli la morte, ma un tumore al cervello, che se lo portò via all’età di 58 anni nel 2001.

Da ben 10 anni il mondo piange la sua chitarra gentile, che tra tante meravigliose canzoni ha composto anche Within you without you, una delle più belle dell'album Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, quella che più di tutte mostra il forte desiderio di distaccarsi dal mondo materiale per capire che la vita scorre al di fuori e insieme a noi.


http://www.youtube.com/watch?v=ljnv3KGtcyI


WITHIN YOU WITHOUT YOU
We were talking about the space between us all
And the people who hide themselves behind a wall
Of illusions, never glimpse the truth, then it's far too late
When they pass away

We were talking about the love that's grown so cold
And the peolpe who gain the world and lose their soul
They don't know, they can't see, are you one of them?

Try to realise it's all within yourself, no one else can make you change
And to see you're really only very small and life flows on within you and without you

We were talking about the love we all could share
When we find it to try our best to hold it there
With our love, with our love we could save the world
If they only knew

When you've seen beyond yourself then you may find peace of mind is waiting there
And the time will come when you see we're all one and life flows on within you and without you

DENTRO DI TE SENZA DI TE
Parlavamo della distanza tra noi tutti
E delle persone che si nascondono dietro un muro
Di illusioni, non afferrano mai la verità, poi è troppo tardi
Quando muiono

Parlavamo dell'amore che si è congelato
E delle persone che conquistano il mondo e perdono la loro anima
Non capiscono, non possono vedere, sei uno di loro?

Prova ad accorgerti che ogni cosa è in te, nessun altro può farti cambiare
E a capire che sei davvero molto piccolo e la vita scorre ancora dentro di te e senza di te

Parlavamo dell'amore che tutti potremmo condividere
Quando lo troviamo facciamo del nostro meglio per trattenerlo
Col nostro amore, col nostro amore potremmo salvare il mondo
Se solo lo sapessero anche loro

Quando hai guardato al di là di te stesso allora potresti trovare la pace dell'anima ad attenderti
E arriverà il tempo in cui capirai che siamo tutti un'unica cosa e la vita scorre ancora dentro di te e senza di te






Roby <^>

mercoledì 22 febbraio 2012

I NOSTRI NEUROTRASMETTITORI

Mi scuso per il lungo periodo di assenza

E’ interessante notare come delle piccole molecole presenti all’interno del nostro corpo possano governare il nostro stato d’animo: felicità, gioia, piacere, dolore, pianto, fame, sete, depressione.. tutto dipende dalla concentrazione di alcuni neurotrasmettitori secreti da alcune cellule del nostro cervello.

La Serotonina, per esempio, è un neurotrasmettitore che controlla diverse parti del corpo:

a livello gastrointestinale provoca l’eccitazione della muscolatura liscia, stimolando la secrezione di fluidi necessari per poter digerire le sostanze che mangiamo; provoca inoltre la sensazione di nausea a vomito a livello dei nervi sensoriali dello stomaco.

A livello ematico, quindi dei vasi sanguigni, provoca una vasocostrizione soprattutto dei grandi vasi intracranici, responsabili del mal di testa e regola l’aggregazione piastrinica.

La serotonina agisce anche sulle terminazioni nervose dove provoca dolore.

Ma è a livello del sistema nervoso centrale che si osservano le sue incredibili proprietà: è implicata nella regolazione della temperatura corporea, della sessualità, dell’appetito, se siamo felici o tristi, se abbiamo sonno o no… avviene tutto grazie alle diverse concentrazioni di questa sostanza.


Sono stati sviluppati molti farmaci che regolano la secrezione o l’assorbimento di serotonina nelle sinapsi del sistema nervoso centrale:

farmaci antipsicotici, quali antidepressivi e ansiolitici, agiscono specificatamente sui neuroni serotoninergici.

Anche alcune sostanze stupefacenti alterano la sintesi o la degradazione di questa molecola, favorendo l’accumulo nel cervello e aumentando cosi l’effetto di benessere ed entusiasmo.


Neurotrasmettitori come la dopamina sono implicati nella coordinazione dei movimenti corporei, stati di motivazione, di ricompensa e di rinforzo.

Cocaina e altre droghe danno assuefazione perché stimolano il rilascio di dopamina in specifiche aree encefaliche.


Abbiamo anche molecole simili al principio attivo della cannabis dette endocannabinoidi delle quali il piu importante è l’anandamide che, se non ricordo male, significa “estremo piacere”.

Negli ultimi tempi si sta studiando molto questa molecola perché potrebbe essere la cura di molte malattie terminali quali sclerosi laterale amiotrofica, cancro e altre malattie.

Gli endocannabinoidi hanno recettori a livello del sistema nervoso periferico e sulle cellule del sistema immunitario, provocano una ridotta percezione del dolore, un senso di benessere, stato di motivazione, stimolano l’appetito e inibiscono il sistema immunitario.

Per questi motivi è stata avanzata l’ipotesi di un possibile utilizzo della cannabis come farmaco per il trattamento di alcune malattie neurodegenerative: riduce l’attivazione del sistema immunitario evitando il progredire delle patologie autoimmuni, potrebbe alleviare gli atroci dolori che pazienti malati di cancro provano soprattutto nelle fasi più avanzate della malattia.

E ora vi lascio uno spunto di riflessione: in alcuni paesi europei questi ultimi farmaci sono già presenti in commercio; in Italia sono illegali. Perché non commercializzare un farmaco che potrebbe salvare la vita? Tutti i farmaci che prendiamo hanno effetti collaterali e anche gravi, eppure sono comunque in commercio!



Rossana


lunedì 20 febbraio 2012

La religione nel contratto sociale di Rousseau- Parte I

La religione, considerata in rapporto alla società è divisa in tre tipi:

1. La religione del Prete
Il filosofo ginevrino considera la religione del Prete la più «bizzarra, che dando agli uomini due legislazioni, due capi, due patrie, li sottomette a doveri contraddittori», in questo modo si crea una contrapposizione tra religione e società civile, che porta alla distruzione dell’unità sociale.
Le tre Religioni appartenenti a questa specie sono il Buddhismo, lo Scintoismo e il Cristianesimo Romano, religioni così evidentemente cattive, soprattutto la terza, che «sarebbe solo una perdita di tempo cercare di dimostrarlo». Dal punto di vista politico queste religioni hanno insormontabili difetti che mettono in discussione la coesione politica-sociale dello stato.

2. La religione dell’Uomo
La religione dell’Uomo, ad una prima considerazione sembrerebbe essere la vera Religione, quella che Rousseau avrebbe intenzione di sostenere: è il vero Teismo, la Religione pura del Vangelo, che si limita al culto interiore e ai doveri della morale, rafforza la solidarietà e la fratellanza, può essere definita anche «diritto divino naturale». I “pregi” di questa specie di religione tuttavia si concludono qui.
Infatti, il ′vero Teismo′ causa un distacco dal corpo politico, non ha nessun interesse per lo stato, nessun amore per la patria, non permette di gioire a seguito di una vittoria in guerra, perché sarebbe simbolo di arroganza, né di disperarsi per una dolorosa sconfitta in battaglia, dato che le cose terrene non hanno alcun valore.
Per questo motivo una società di perfetti cristiani non sarebbe una società di uomini: ognuno farebbe il suo dovere, tutti sarebbero pronti a morire, anzi, sottolinea il filosofo ginevrino, questi cittadini sarebbero più pronti per la morte che per la vita, perché la loro patria non è di questo mondo.
Oltre ad evitare di appassionarsi alle cose terrene, l’ipotetica società di perfetti cristiani ha un altro punto debole: vivere secondo carità. Infatti «la carità cristiana non permette facilmente che si pensi male del prossimo», quindi chiunque può facilmente escogitare un modo per ingannare tali cittadini cristiani ed usurpare così il potere.
Questa religione ha un numero elevato di difetti quindi non può essere considerata la migliore religione possibile per uno stato.

3. La religione del Cittadino
Per religione del Cittadino Rousseau intende la religione nazionale con i suoi riti, i suoi dogmi prescritti dalle leggi e che considera ciò che è al di fuori della Nazione barbaro e infedele.
Questo culto unisce amore per la patria e culto divino, insegna i cittadini a servire lo Stato e Dio, e a considerare la patria un vero e proprio oggetto di culto e adorazione; la figura del Pontefice coincide con quella del Principe, i magistrati sono sacerdoti, l’autorità politico-civile e quella religiosa sono unite nelle mani delle medesime persone, garantendo la solidità dello stato.
Tuttavia questo tipo di religione ha dei difetti: infatti, concentrandosi sull’esteriorità del culto e sui vani cerimoniali, soffoca il culto autentico della divinità; inoltre può diventare esclusivamente tirannica e quindi intollerante e sanguinaria. Per questo necessita di dogmi stabiliti ed inviolabili, prescritti dalla legge.

I dogmi della religione civile e l’intolleranza
«I dogmi della religione civile devono essere semplici, pochi, enunciati con precisione[…] L’esistenza della divinità potente, intelligente, benefica, previdente e provvida; la vita futura; la felicità dei gusti; la punizione dei malvagi; la santità del Contratto Sociale e delle Leggi». Se alcuni di questi dogmi conseguono perfettamente dal ragionamento rousseauiano, quali la punizione dei malvagi e la sanità del Contratto Sociale e delle Leggi, che testimoniano ancora una volta l’importante ruolo svolto dal Contratto Sociale e la necessità di punire i crimini, altri dogmi creano numerosi punti interrogativi, in quanto si distanziano dal discorso fatto fino a questo punto del Contratto Sociale dal filosofo ginevrino: sicuramente l’inserimento tra i dogmi della ´vita futura´ crea importanti spunti di discussione. Perché considerare la ´vita futura´ un dogma quando Rousseau afferma chiaramente che le religioni che si basano sull’esistenza di una vita ultraterrena promuovono un distacco dalle cose di questo mondo e quindi dallo stato?
Il problema non è di facile soluzione; molti si sono interrogati sul valore della vita ultraterrena in Rousseau. Secondo il mio parere il filosofo di Ginevra cerca una mediazione tra aldiquà e aldilà; infatti è consapevole della necessità di affermare l’esistenza di una vita futura per i cittadini: ciò li porterebbe ad un maggiore rispetto delle leggi per timore di una punizione divina, ma nel contempo ritiene fondamentale per la stabilità dello stato altri sentimenti e passioni tipicamente terrene come l’amore per la patria, l’attaccamento alla vittoria, la disperazione per la sconfitta.
La mia soluzione al problema è quindi un uso funzionale della religione: i precetti del culto devono essere indirizzati al medesimo fine, la coesione e la stabilità dello stato.
Oltre ai «dogmi positivi», Rousseau elenca anche un dogma negativo: l’intolleranza. Il tema della tolleranza è molto caro al filosofo di Ginevra, e d’altronde non potrebbe essere altrimenti considerato il clima culturale in cui opera: conosce gli illuministi Diderot, D’Alembert e Voltaire, quest’ultimo in modo particolare autore del “Trattato sulla tolleranza”.
L’intolleranza per Rousseau è unica: non c’è distinzione tra intolleranza civile e teologica, le due sono inseparabili, infatti è impossibile vivere con chi riteniamo dannato senza che non vi sia qualche conseguenza civile. Ne consegue che «bisogna tollerare tutte le religioni che tollerano le altre».

>>FEDE

sabato 18 febbraio 2012

Verso euro 2012: Russia

Storia


La prima nazionale rappresentativa della Russia fu l'Impero russo che esordì il 30 giugno 1912 contro la Finlandia, perdendo per 2-1. Questa rappresentativa durò pochi anni e subì cocenti sconfitte come il 16-0 infertogli dalla Germania. Dopo il 1917 con la rivoluzione, la nazionale scomparse per essere ricostituita nel 1923, come URSS che inizialmente rappresentava unicamente la repubblica socialista federale russa ma dal 1924 divenne la rappresentante di tutte le repubbliche dell'Unione Sovietica. L'URSS non conseguì alcun risultato importante prima della seconda guerra mondiale e anche il primissimo dopoguerra fu deludente in quanto non si qualificò ai mondiali del 1950 nè a quelli del 1954. La svolta arrivò nel 1956 anno in cui l'URSS vinse le olimpiadi a Montreal e due anni dopo ottenne la qualificazione ai mondiali di Svezia, riuscendo ad arrivare ai quarti di finale. La consacrazione avvenne due anni più tardi. Dal 6 al 10 luglio 1960 infatti si svolsero i primi europei; la nazione ospitante fu la Francia. L'URSS del portiere Lev Jasin arrivò alla fase finale a causa del ritiro della Spagna nei quarti di finale( le fasi di qualificazione di allora prevedevano ottavi e quarti di finale giocati in sfida doppia); negli ottavi i sovietici avevano comunque sconfitto l'Ungheria, che fino a quattro anni prima era l'Aranycsapat ovvero la squadra d'oro.

Il 6 Luglio allo stadio Velodròm di Marsiglia andò in scena la prima semifinale tra URSS e Cecoslovacchia che si concluse con una netta vittoria dei sovietici per 3-0. La finale sarebbe stata contro la Jugoslavia. La partita fu tiratissima e dopo l'1-1 nei tempi regolamentari fu un gol di Ponedel'nik al 114° a decidere la gara regalando all'URSS il titolo di campione d'Europa. Nel '64 la fase finale fu giocata in Spagna. I sovietici affrontarono la Danimarca in semifinale vincendo facilmente per 3-0. I campioni d'Europa erano chiamati a difendere il titolo contro i padroni di casa. L'importanza della sfida era massima non solo a livello sportivo ma anche, e forse soprattutto, a livello politico: si battevano infatti l'URSS comunista contro la Spagna fascista di Franco. La partita fu difficile per i campioni d'europa soprattutto a causa dell'afa a cui i sovietici, come si può ben immaginare, non erano abituati. La Spagna segnò per prima al 6° minuto ragigunta subito dai sovietici ma alla fine vinse segnando all'84°. Gli europei del '68 giocati in Italia videro nella prima semifinale l'URSS contro i padroni di casa. I sovietici arrivavano dal quarto posto mondiale del '66 (miglior risultato di sempre) e da 5 vittorie a fronte di una sola sconfitta nelle qualificazioni per la prima volta a gruppi. La partita con l'Italia non è certo da ricordare: uno 0-0 senza emozioni eccetto un palo azzurro nei supplementari. I rigori non erano previsti e a decidere la prima finalista sarà una monetina(per la prima e unica volta nella storia). La dea bendata è (per fortuna) favorevole agli azzurri ed esclude per la prima volta i sovietici dalla finale. Forse delusi per questo esito i sovietici non brillarono nella finalina e furono sconfitti per 2-0 dai campioni del mondo inglesi. Per la prima volta i sovietici non avevano segnato nemmeno un gol. Il 1972 era quindi l'anno del riscatto. Nella semifinale contro l'Ungheria i sovietici si imposero di misura e in finale affrontarono gli esordienti della Germania Ovest. I sovietici erano una squadra poderosa ma lenta e nulla poterono contro i tedeschi che poterono vendicarsi sportivamente della battaglia di staligrado: alla fine i “Panzer” distrussero l'“Armata rossa” per 3-0. Quella fu la fine del periodo d'oro del calcio sovietico che per il resto degli anni '70 seppe fare qualcosa solo col bronzo olimpico del '76, ma non ottenne alcun risultato degno di nota né ai mondiali né agli europei dove non riuscì a qualificarsi nelle tre edizioni successive. Nel 1988 abbiamo però il canto del cigno sovietico. L'URSS era tornata una squadra forte e con un gioco difficile da interpretare. Nelle qualificazioni aveva sconfitto nel girone i francesi campioni d'Europa per 2-0 eliminandoli di fatto dal torneo. Alla fase finale si trovano un girone molto complesso con l'Olanda, l'inghilterra e l'Irlanda che era prevista come mina vagante. La prima partita del girone fu URSS-Olanda. I sovietici vincono per 1-0 con un gol in contropiede. La seconda partita vede la sorprendente Irlanda che aveva battuto gli inglesi all'esordio chiudere il primo tempo in vantaggio di un gol. Ma a un quarto d'ora dal termine i russi riescono a pareggiare. La terza e ultima partita vede i sovietici distruggere quel che resta degli inglesi già eliminati per 3-1. La semifinale è la riedizione di quella di Euro '68: Italia-URSS. Ovviamente le due nazionali erano ben diverse da quelle affrontatesi 20 anni prima. Gli azzuri erano per lo più giovani e giocavano un bel calcio, ma i sovietici erano nettamente superiori ma l'Italia resistette per un'ora poi in due minuti cadde sotto i colpi di Litovchenko e Protasov che protarono la squadra di Lobianovskiy in finale dopo 16 anni di astinenza. All'Olympiastadion di Monaco di Baviera il 25 Giugno andò in scena la sfida con l'Olanda. Le due squadre si erano affrontate già al girone con la vittoria sovietica, ma in quell'occasione il CT olandese aveva inspiegabilmente lasciato in panchina il cigno di Utrecht, errore che non si ripete nella finale. Nell'Olanda infatti giocano Rijkaard, Gullit e Van Basten trio che nei due anni successivi diventerà campione d'Europa con il Milan. I sovietici però non erano un avversario facile, ed ebbero diverse occasioni per passare in vantaggio, ma è l'Olanda a segnare il primo gol con una palla finita sui capelloni di Gullit che insacca al 32°. Nel secondo tempo gli orange raddoppiano con Van Basten che realizza il gol del secolo. In realtà i sovietici non sono ancora fuori dai giochi: Bjelanov ha infatti due occasioni per segnare ma le fallisce prima prendendo un palo, poi facendosi parare un rigore. Alla fine l'Olanda vince meritatamente gli europei ma agli sconfitti va l'onore delle armi. La storia europea dell'URSS finì con quel secondo posto di Monaco. Infatti gli Europei del 1992 furono giocati dal CSI( comunità degli stati indipendenti) a causa dello scioglimento dell'URSS la cui rappresentativa si era comunque qualificata agli europei svedesi. Il CSI era una squadra molto diversa da quella che arrivò seconda nell'88. Infatti i giocatori rimasti erano solo 2 benchè del calibro di Mychajlycenko che l'anno prima aveva vinto lo scudetto con la Sampdoria, e di Alejnikov. Il CSI termina quarto con soli due punti, ma il tabellino non racconta tutta la storia. Infatti i due pareggi sono ottenuti contro Olanda e Germania. Proprio contro i teutonici, nella prima sfida del girone il CSI sfiorò l'impresa venendo raggiunto al 90°. Se la Germania non avesse segnato quella rete il CSI sarebbe approdato in semifinale. Dopo quell'Europeo il CSI si divise nelle varie federazioni nate dopo il crollo dell'Unione sovietica e la Russia è riconosciuta sia dalla FIFA che dall'UEFA come unica erede della squadra dell'URSS. Da allora si è quasi sempre qualificata agli europei (unica assenza nel 2000) mentre invece ha fallito più volte la qualificazione ai mondiali ( ne ha giocati solo 2 su 5 disponibili) confermando il trend più europeistico che già aveva l'URSS. I risultati agli europei però sono molto più opachi di quelli dell'URSS. Infatti sia nel 1996 che nel 2004 la squadra non superò il primo girone. Un exploit lo ebbe invece negli ultimi europei del 2008 quando arrivò in semifinale.

Il girone era composto da Spagna, Svezia che erano le favorite per passare il turno e dai campioni in carica della Grecia chiamati alla prova del nove. La Russia era certamente la squadra più debole e il 4-1 subito all'esordio contro la Spagna fu perentorio. La vittoria sui campioni d'Europa della Grecia, che sancì l'uscita degli ellenici dal torneo, non sembrò risollevare le sorti della squadra allenata da Higgins che per qualificarsi avrebbe dovuto battere la Svezia di Ibrahimovic. Impresa che si realizzò grazie a Pavlyuchenko ed Arshavin che piegarono 2-0 Ibra e compagni. I Russi erano ai quarti contro l'Olanda, tra le favorite per la vittoria finale. I russi erano ormai abituati alla pressione del dentro-fuori dato che sia contro la Grecia sia contro la Svezia una sconfitta avrebbe sancito l'eliminazione. L'Olanda forse sottovalutò gli avversari che passarono in vantaggio nel secondo tempo, ma poi li raggiunse all'86° con Van Nistelrooy. La favola russa sembrò terminare ma nel secondo tempo supplementare Trobinskij e Arshavin segnarono due reti qualificando a sorpresa i russi alla semifinale. Nel penultimo atto trovarono gli spagnoli. Qualcuno pensò che la Russia potesse ripetere il miracolo riuscito ai greci quattro anni prima... le reti di Xavi, Guiza e Silva spensero ogni luce per la Russia che comunque ottenne il miglior risultato dai tempi dell'URSS.

La Russia nella sua storia ci ha regalato grandi campioni primo fra tutti Lev Jasin, unico portiere a vincere il pallone d'oro, ma anche Valentin Ivanov, Ponedel'nik autori della vittoria nell'Europeo 1960, Ivanov è anche lì'unico giocatore russo a vincere la classifica marcatori di un mondiale(1962). Da ricordare anche Ill'in, Alejnikov e negli anni '90 Alenicev e Kolivanov che ricordiamo anche in Italia il primo a Roma e Perugia, il secondo prima nel Foggia di Zeman e poi nel Bologna che conquistò l'intertoto nel 1998. Arriviamo quindi ad Arshavin e Pavlyuchenko entrambi giocatori che militano attualmente nella Premier League.

Cammino verso Euro 2012

La Russia ha vinto il proprio girone giocato insieme ad Andorra, Armenia, Irlanda, Macedonia e Slovacchia. La Russia ha totalizzato 23 punti ottenuti con 7 vittorie e 2 pareggi a fronte di una sola sconfitta(1-0 contro la Slovacchia alla seconda partita). Tra le vittorie da segnalare il 6-0 contro l'Andorra che ha regalato ai russi la qualificazione diretta agli europei, davanti all'Irlanda seconda a 21 punti. È la prima volta che la Russia si qualifica come prima classificata nel girone di qualificazione dai tempi dell'URSS. Il segreto di questo successo è stata la difesa che ha subito solo 4 reti in 10 partite. Arshavin benchè presente in tutte e 10 le partite di qualificazione non è mai andato a segno a differenza del compagno di reparto Pavlyuchenko capocannoniere della squadra insieme a Dzagoev con 4 reti. Ma come detto la squadra russa vanta la sua forza nella difesa in cui giocano Sergej Ingashevic, difensore con il vizio del gol(50 in totale, record per un difensore russo) e Berezutski che ha disputato tutte e 10 le partite di qualificazione. Presumibilmente questi che ho citato saranno la spina dorsale della squadra che giocherà in Polonia e Ucraina. L'età media è alta e questo può rappresentare un handicap. Il girone è nel complesso semplice, le altre squadre sono Repubblica Ceca, Grecia e Polonia, ma dal punto di vista russo può contenere qualche insidia; tuttavia la Russia ha le potenzialità per passarlo e probabilmente lo farà ma l'avventura difficilmente continuarà se dovesse incontrare Germania o Olanda; se invece i quarti saranno contro Portogallo o Danimarca sarà più facile l'accesso in semifinale... ma questo è fantacalcio; realisticamente credo l'avventura russa si fermerà ai quarti di finale.

Tutte le partte della Russia/URSS agli europei:

Euro '60: SF. URSS-Cecoslovacchia 3-0

F. URSS-Jugoslavia 2-1(dts)

Euro '64: SF. URSS-Danimarca 3-0

F. URSS-Spagna 1-2

Euro '68: SF. URSS-Italia 0-0 (dts) (Italia qualificata per sorteggio)

F 3/4. URSS-Inghilterra 0-2

Euro '72: SF. URSS-Ungheria 1-0

F. URSS-Germania Ovest 0-3

Euro '88: I gir. URSS-Olanda 1-0

II gir. URSS-Irlanda 1-1

III gir. URSS-Inghilterra 3-1

SF. URSS-Italia 2-0

F. URSS-Olanda 0-2

Euro '92: I gir. CSI-Germania 1-1

II gir. CSI-Olanda 0-0

III gir. CSI-Scozia 0-3

Euro '96: I gir. Russia-Italia 1-2

II gir. Russia-Germania 0-3

III gir. Russia-Rep. Ceca 3-3

Euro '04: I gir. Russia-Spagna 0-1

II gir. Russia-Portogallo 0-2

III gir. Russia-Grecia 2-1

Euro '08: I gir. Russia-Spagna 1-4

II gir. Russia-Grecia 1-0

III gir. Russia Svezia 2-0

QF. Russia-Olanda 3-1(dts)

SF. Russia-Spagna 0-3

giovedì 16 febbraio 2012

I Chipolopolo sul tetto d’Africa


Si è conclusa domenica la 28esima edizione della Coppa delle Nazioni africane (meglio nota al pubblico europeo come Coppa Africa). Un’edizione dalle mille sorprese, dove tutto è stato insolito.
A cominciare dai paesi ospitanti, il Gabon e la Guinea Equatoriale, che hanno organizzato la manifestazione per la prima volta. Ma le vere sorprese erano cominciate molto prima, già nella fase di qualificazione. Infatti molte delle squadre più blasonate del continente hanno clamorosamente mancato la qualificazione alla fase finale. Se sulle sorti dell’Egitto, vincitore delle ultime tre edizioni, hanno pesato oltremodo gli eventi politici che hanno sconvolto la nazione egiziana e tutto il Nordafrica negli ultimi mesi (eventi che non hanno comunque impedito alle due nazioni più interessate da disordini locali, la Tunisia e la Libia, di qualificarsi), ha molto sorpreso l’assenza di altre nazioni come il Camerun, la Nigeria, il Sudafrica. Il risultato è stato che solo cinque delle sedici nazionali qualificate avevano vinto precedentemente la coppa e solo una (la Tunisia nel 2004) l’aveva fatto negli ultimi vent’anni. Ma soprattutto l’assenza delle squadre citate spianava la strada alle due grandi favorite del torneo, la Costa d’Avorio e il Ghana che venivano indicate da tutti come le finaliste predestinate della competizione. Quest’anno sembrava l’occasione giusta per una di queste due squadre per legittimare il proprio predominio sul continente.

 Ma si sa che nei grandi tornei i pronostici non vengono quasi mai rispettati. E alla fine a sollevare il trofeo al cielo sono stati i giocatori dello Zambia, che partiva con il titolo di possibile outsider del torneo, avendo raggiunto i quarti di finale due anni fa, ma per la quale era difficile prevedere anche nella più ottimistica delle previsioni un risultato migliore delle semifinali. I Chipolopolo (proiettili di rame), come sono chiamati i giocatori della nazionale dell’Africa australe, hanno stupito tutti dimostrando un’organizzazione tattica impeccabile, sotto la guida di una vecchia volpe come il francese Hervé Renard, e grazie anche alle doti naturali di rapidità nelle ripartenze, hanno messo al tappeto uno dopo l’altro tutti gli avversari con un gioco non certo spettacolare ma straordinariamente efficace. Lo Zambia ha dimostrato di essere una squadra solidissima già nelle prime partite andando a vincere il gruppo A, che ha visto il flop del Senegal, per poi sconfiggere il Sudan nei quarti di finale. Ma è dalle semifinali che i giocatori zambiani hanno realizzato il miracolo, battendo una dopo l’altra le due favorite: prima il Ghana per uno a zero in semifinale, quindi in finale è arrivata la vittoria ai calci di rigore sulla Costa d’Avorio delle stelle Drogba, Kalou, Yaya Touré e Gervinho. 

 
Il trionfo dello Zambia, oltre che storico poiché è il primo nella competizione, ha anche un grande significato simbolico per il luogo nel quale è avvenuto. La finale infatti si è giocata a Libreville e il pensiero dei giocatori in campo e degli appassionati non poteva che tornare a vent’anni fa, quando nel 1993 un terribile incidente aereo a pochi chilometri proprio dalla capitale del Gabon metteva tragicamente fine alla vita di tutta la nazionale dello Zambia, in volo per giocare una partita di qualificazione ai mondiali. Si trattava di una delle squadre africane più forti di quegli anni, che l’anno dopo avrebbe incredibilmente raggiunto, con una squadra completamente ricostruita, la finale della Coppa Africa, persa contro la Nigeria. L’ultima, prima di quest’anno. In questo senso è stato bellissimo vedere festeggiare in campo con i giocatori anche Kalusha Bwalya, attuale dirigente della Federcalcio zambiana e stella di quella nazionale, per puro caso scampato alla tragedia (i tifosi italiani lo ricordano per la tripletta che ci rifilò nello storico 0-4 subito ai Giochi Olimpici di Seoul ’88). Ad ogni modo la vittoria dello Zambia è stata la rivincita del calcio africano in senso puro, con una formazione che ha dimostrato di essere “squadra”, su una squadra come la Costa d’Avorio piena di stelle provenienti dai campionati europei, ma ancora una volta dimostratasi incapace di fare quel passo decisivo per la vittoria una volta arrivata in finale. I giocatori dello Zambia sono praticamente degli sconosciuti (solo due giocano in Europa in campionati piccoli come quello svizzero o la serie b russa!) ma la squadra ha messo in luce dei talenti invidiabili come il capitano Christopher Katongo e i giovani Mayuka, Chamanga e Kalaba. Giocatori che potrebbero fare comodo a molte squadre europee.

 
Un grande trionfo per una nazione, una grande occasione fallita per un’altra, la Costa d’Avorio e per Drogba in particolare, per il quale si vociferava di un possibile addio alla nazionale alla fine del torneo. Chissà che ora non ci ripensi. Sicuramente la sconfitta ivoriana pesa molto sulle spalle del giocatore del Chelsea, trascinatore della squadra che ha però fallito proprio in finale un rigore che avrebbe potuto dare la vittoria ai suoi (salvo poi rifarsi, ma inutilmente, nella serie finale).

 
Per il resto, è stata confermata l’idea della Coppa africa come festa di popolo e dei popoli africani, un torneo colorato e festoso dove il pubblico è sempre protagonista. Anche se in questo caso gli stadi sono rimasti più vuoti del solito. Ma comunque la cornice intorno alle partite ha riscattato un livello tecnico della competizione non certo eccelso (la stessa finale è stata emozionante e tesa sul piano agonistico ma non bella). Ed è stata comunque una grande festa nazionale per i due paesi ospitanti, fermatisi entrambi ai quarti di finale che rappresenta comunque un risultato di grande prestigio (soprattutto per la Guinea Equatoriale che era uno dei tre Paesi al debutto assoluto nella manifestazione, insieme al Niger e al Botswana).

L’occasione per tutte le squadre per rifarsi e per gli appassionati per seguire un’altra Coppa africa non tarderà: la competizione infatti passa dagli anni pari a quelli dispari, per evitare la concomitanza con i Mondiali e quindi, pur rimanendo a cadenza biennale, avremo una nuova edizione già l’anno prossimo. Appuntamento quindi in Sudafrica nel 2013 per una nuova festa del calcio africano e congratulazioni ai Chipolopolo campioni d’Africa!


/Fabio/